Nella giornata di ieri Apple e Samsung sono state multate per la pratica nota come obsolescenza programmata. Entrambe erano state accusate di aver reso diversi dispositivi meno performanti con l’arrivo di nuove versioni dei sistemi operativi usati, rispettivamente iOS e Android. Per quanto sembra una pratica ben comune, l’anti-trust ha voluto colpire due dei primi tre colossi del settore degli smartphone in fatto di volume.
Riprendendo l’enciclopedia Treccani, si tratta di un processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione di beni tecnologici o appartenenti ad altre tipologie. Può prendere diverse forme come l’uso voluto di materiali scadenti in modo da necessitare riparazioni o sostituzioni; nella stessa linea c’è anche la produzione di qualcosa di già fallato in partenza. Per quanto riguarda le riparazioni, spesso risultano più costose rispetto a quello che è effettivamente il danno.
Tale pratica non è usata solamente sugli smartphone, ma a tutti i prodotti tecnologici e anche di altra natura, come le auto. L’origine, almeno nell’identificare tutto questo con un nome ben preciso, risale al 1924. In quegli anni dei produttori di lampadine misero in piedi il Cartello Phobos. Quest’ultimi decidevano a priori la durata della lampadine a non più di mille ore ed altri piccoli fattori. Verso il periodo della grande depressione la pratica passò anche alle calze in nylon delle donne, materiale troppo resistente che minava il profitto della compagnia produttrice per via dei troppi pochi ricambi. Alla fine molti prodotti dell’industria avevano lo scopo di rompersi già in partenza con l’intento di far girare ancora di più l’economia interna.
Negli ultimi la forma è diventata ormai comune e spesso non ce ne si accorge neanche. L’abitudine a cambiare i prodotti di frequente favorisce il tutto.
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