Da decenni gli scienziati sono al lavoro per mettere a punto il design ideale dei pannelli solari, con grande beneficio di tutti. Una nuova ricerca suggerisce che dei pannelli sovralimentati possano costituire un enorme vantaggio non solo “a terra”, a anche molto più lontano da casa nostra. Un team di scienziati tedeschi ha legato quattro diverse celle solari organiche in perovskite ad un razzo e lo ha lanciato nella bassa orbita terrestre bassa al fine di verificare la reazione dei pannelli solari in condizioni non terrestri. Il volo è durato solo sette minuti, ma i ricercatori sono riusciti a raccogliere importanti informazioni su come questi pannelli si possano adattare all’ambiente spaziale.
Questi pannelli non hanno mostrato alcun calo di funzionalità e hanno persino mostrato la capacità di funzionare in condizioni di scarsa illuminazione addirittura meglio delle loro controparti inorganiche, peraltro molto più pesanti. I ricercatori ritengono che queste proprietà potrebbero rendere i pannelli solari degli strumenti chiave per il futuro dei viaggi spaziali. Nel documento, il team spiega che la storia del volo spaziale e della sperimentazione delle celle solari è stata molto carente. L’anno 1959 vide il lancio del primo razzo ad energia solare, l’Explorer 6; più recentemente sono stati effettuati test sui pannelli solari utilizzando palloni stratosferici.
Quello che gli scienziati hanno compreso grazie ai pannelli in perovskite è però diverso. Il team di ricerca ha “sparato” le proprie celle solari per circa 230 chilometri nel cielo. Il razzo che trasporta una selezione di quattro celle solari ultrasottili è decollato dalla Svezia nel giugno 2019, per effettuare un rapido giro di sette minuti nella bassa atmosfera terrestre; le celle solari a bordo del razzo, attaccate all’esterno del carico utile, erano realizzato con un mix di perovskite e celle solari organiche. Ciascuna di queste celle poteva generare elettricità sufficiente per alimentare 300 lampadine standard.
“Si tratta di circa dieci volte più energia di quanto l’attuale tecnologia ci consenta“, spiega Lennart Reb, ricercatore presso l’Università di Monaco e autore dello studio. Ma, sebbene questi pannelli solari funzionassero alla perfezione sulla Terra, verificare se essi avrebbero mantenuto inalterata la loro operatività era tutt’altro discorso. Dopo un lancio e un atterraggio riusciti, in cui le celle solari sono sopravvissute allo stress fisico, il team ha analizzato alcuni dati del volo dei pannelli solari: oltre ad aver mantenuto la loro efficienza nella bassa atmosfera, il team ha anche scoperto che i pannelli erano in grado di funzionare in ambienti con scarsa illuminazione, dove l’unica fonte di luce era quella riflessa dalla Terra.
Questa scoperta non solo mostra prestazioni superiore alla tecnologia attuale, ma suggerisce anche l’esistenza di un potenziale straordinario per le future missioni nello spazio profondo. “Questo è un buon inizio e conferma che la tecnologia in questione possa essere impiegata nelle missioni spaziali più impegnative, lontano dal Sole“, dice il ricercatore presso l’Università di Monaco, Peter Muller-Buschbaum. Sebbene non sia stato dimostrato da questo particolare studio, ricerche precedenti avevano già mostrato che lo spazio, molto più “asciutto” della Terra, può effettivamente essere un ambiente favorevole per le celle solari di perovskite, che comunemente soffrono problemi di degrado ambientale sulla Terra.
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