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Pensare troppo e troppo a lungo fa veramente male al cervello

Pensare è importante, molto importante, ma farlo per troppo tempo e troppo intensamente può di fatto essere un problema. Un nuovo studio di fatto suggerisce che questo genere di comportamento può portare il cervello a spendere troppe energie e a logorare il corpo di conseguenza.

A tutti può essere capitato di effettivamente ritrovarsi esausto dopo una sessione prolungata nel pensare. Alcuni ricercatori si sono chiesti il motivo, i processi fisiologici dietro questo scenario. Nel farlo hanno scoperto che la colpa nello specifico è da associare  a un neurotrasmettitore eccitatorio presente proprio nel cervello, quello più comune. Si parla del glutammato, un amminoacido responsabile per le comunicazioni tra neuroni. Se usato troppo può finire per uccidere i neuroni.

 

Pensare troppo: un lavoro faticoso e deteriorante

Le parole dei ricercatori dietro a questo studio: “Teorie influenti hanno suggerito che la fatica è una sorta di illusione escogitata dal cervello per farci fermare qualsiasi cosa stiamo facendo e passare a un’attività più gratificante. Ma i nostri risultati mostrano che il lavoro cognitivo si traduce in una vera alterazione funzionale – accumulo di sostanze nocive – quindi la fatica sarebbe davvero un segnale che ci fa smettere di lavorare ma per uno scopo diverso: preservare l’integrità del funzionamento del cervello. Presi insieme ai precedenti dati fMRI, questi risultati supportano un modello neuro-metabolico in cui l’accumulo di glutammato innesca un meccanismo di regolazione che rende l’attivazione dell’lPFC più costosa, spiegando perché il controllo cognitivo è più difficile da mobilitare dopo una faticosa giornata di lavoro.”

Lo studio non fornisce tutte le risposte. I dati raccolti hanno mostrato un maggiore accumulo del glutammato nelle persone che sono stati messi di fronte a problemi più complessi da risolvere, dove quindi bisogna pensare di più. Un’altra ipotesi però riguarda una perdita di zuccheri per il funzionamento del cervello.

Giacomo Ampollini

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