Tra i tanti esopianeti scoperti fino ad oggi, ce ne sono alcuni che davvero destano la curiosità degli scienziati. Ma stavolta non per la loro abitabilità o per le caratteristiche della loro superficie, ma perché sono pianeti solitari, orfani delle loro stelle, che vagano nello spazio interstellare.
Questo tipo di esopianeti, definiti pianeti interstellari, non sono infatti legati gravitazionalmente a nessuna stella, ma si muovono nello spazio interstellare indipendenti da qualsiasi sistema planetario.
Secondo gli astronomi, questi pianeti si sarebbero formati, come tutti gli altri, dal disco protoplanetario di una stella in formazione. In seguito però sono stati espulsi dal sistema planetario in cui sono nati, a causa delle interazioni gravitazionali con gli altri pianeti del sistema.
Dalle osservazioni, la nostra Via Lattea risulta essere ricca di questi pianeti solitari e il team dell’Optical Gravitational Lensing Experiment (OGLE), dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Varsavia, sembra aver scoperto il più piccolo pianeta solitario fino ad ora osservato. Questo pianeta vagabondo ha dimensioni simili a quelle della nostra Terra.
OGLE ha scovato questo piccolo pianeta solitario grazie al suo specchio primario da 1,3 metri di diametro, opportunamente puntato verso le regioni centrali della Via Lattea, in cui osserva centinaia di milioni di stelle, alla ricerca di esopianeti e sistemi planetari.
Gli esopianeti in genere vengono cercati con il metodo dei transiti. Ovvero si ricercano gli abbassamenti di luminosità di una stella dovuti al parziale oscuramento creato dai pianeti quando transitano tra il telescopio e la stella nel loro moto orbitale. In alternativa il metodo delle velocità radiali, ovvero si misura lo spostamento della stella causato dall’interazione gravitazionale di un pianeta che le orbita attorno.
Tutti questi metodi però, scovano esopianeti che orbitano intorno alle loro stelle. Come si riesce dunque a trovare un pianeta solitario nell’immensità dell’Universo? Semplice con l’aiuto di Albert Einstein.
OGLE infatti, per scovare esopianeti solitari, usa l’effetto del microlensing, ovvero la lente gravitazionale. Un fenomeno descritto dal fisico tedesco nella sua Teoria della Relatività Generale che prevede che un oggetto massiccio, agendo come una lente, possa deviare la luce di un oggetto luminoso alle sue spalle. La gravità dell’oggetto massiccio dunque agisce come una lente d’ingrandimento di dimensioni enormi, che ingrandisce e deforma la luce delle stelle lontane.
Come questo effetto sia applicabile alla ricerca degli esopianeti, ce lo spiega Przemek Mroz del California Institute of Technology, il quale ha affermato che “se un oggetto massiccio, transitando, si frappone tra noi osservatori qui sulla Terra e una sorgente distante, la sua gravità può deviare e focalizzare la luce dalla sorgente. E l’osservatore misurerà un breve aumento di luminosità della stella sorgente.
Le possibilità di sfruttare il microlensing sono estremamente ridotte, perché tre oggetti, sorgente, lente e noi osservatori, devono essere quasi perfettamente allineati. Se osservassimo una sola stella-sorgente, dovremmo aspettare quasi un milione di anni per vederla subire l’effetto del microlensing.”
Il microlensing non dipende dalla luminosità della sorgente ma dalla massa dell’oggetto che funge da lente. Questo fenomeno permette lo studio e la scoperta di oggetti deboli o scuri come, come i pianeti in questo caso. Meno l’oggetto-lente è massiccio, più breve è l’evento.
La maggior parte degli eventi osservati, che in genere durano diversi giorni, sono causati dalle stelle. Gli eventi relativi ai pianeti solitari invece, durano al massimo alcune ore. Misurando la durata di un evento di microlensing e il modo in cui deforma la luce curvandola, si può stimare la massa dell’oggetto individuato.
Quello scoperto da Ogle è l’evento di microlensing più breve mai osservato. A questo evento è stato dato il nome di Ogle-2016-Blg-1928, e dura soltanto 42 minuti. Radoslaw Poleski dell’Osservatorio astronomico dell’Università di Varsavia e co-autore dello studio, ha infatti dichiarato: “quando abbiamo individuato per la prima volta questo evento, era chiaro che doveva essere stato causato da un oggetto estremamente piccolo.”
Dall’analisi degli spettri prodotti, l’oggetto dovrebbe avere una massa compresa tra quella della Terra e quella di Marte ed è probabilmente di un pianeta interstellare. Come spiega Poleski infatti, “se l’obiettivo fosse in orbita attorno a una stella, ne rileveremmo la presenza nella curva di luce dell’evento.”
Ph. Credit: Jan Skowron / Astronomical Observatory, University of Warsaw
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