Emily Mason, una dottoranda della Catholic University of America, ha recentemente effettuato una straordinaria scoperta sulle piogge coronali della nostra stella. Sembrerebbe infatti che queste possano verificarsi anche molto più in superficie, vicino all’eliosfera. La ricerca della Mason è riportata sull’Astrophisical Journal Letters ed è il risultato dell’analisi e dati raccolti in parecchi anni dalla sonda Solar Dynamic Observatory (SDO) della NASA. SDO ha osservato il Sole ogni dodici secondi negli ultimi 9 anni.
Le piogge coronali sono di norma osservate quando si verificano flare o brillamenti solari, ovvero delle enormi esplosioni che spingono grandi quantità di plasma nella corona, la zona più esterna dell’atmosfera solare. Quando il plasma viene proiettato verso l’esterno, ricade poi sulla superficie del Sole per lo stesso principio con cui si verifica la pioggia sulla Terra, ovvero condensando quando passa da zone calde a zone più fredde.
Secondo i modelli sviluppati sino ad ora dai ricercatori, le piogge coronali si verificano maggiormente nelle zone attive della nostra stella, propagandosi a volte fino a grandi distanze dalla superficie. Questo tipo di piogge si stima siano molto frequenti ed i caratteristici archi che le compongono sono plasmati dai venti solari. Gli archi delle piogge coronali hanno una caratteristica forma appuntita e possono essere osservati durante le eclissi.
Durante l’analisi dettagliata delle immagini della sonda SDO nell’ultravioletto, i ricercatori hanno a lungo cercato le tracce di queste piogge nei grandi flussi di plasma. MA ciò che hanno trovato è invece una pioggia di entità più moderata e più prolungata, in zone a scarsa attività solare. Si tratta di zone di piccoli anelli di plasma, alte poco più di 50 mila km dalla superficie del sole, ben inferiori ad un raggio solare e molto al di sotto dei grandi flussi plasmatici, che possono arrivare ad altezze pari a 6 volte un raggio solare.
Si tratta davvero di una scoperta sorprendente, in quanto in questi flussi plasmatici così bassi, l’escursione termica è decisamente inferiore e, di conseguenza, è più difficile che si verifichino i fenomeni di condensazione che sono alla base delle piogge coronali.
Questo fenomeno ha portato i ricercatori a pensare che, nei flussi plasmatici più bassi, le “gocce” di pioggia siano più grandi e quindi più facilmente osservabili. Mentre negli anelli coronali più grandi, con altezze elevate, il gradiente di temperatura è più graduale, permettendo la formazione di “gocce” di pioggia coronale molto più fini e perciò inosservabili dai telescopi.
Secondo la Mason, questo fenomeno potrebbe essere un buon punto di partenza per cercare di comprendere finalmente, come avvenga il sovra-riscaldamento della corona solare, che ha una temperatura di 200 volte maggiore rispetto alla fotosfera.
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