Sebbene non siano esattamente i valori simbolicamente incisi nelle pagine del libro retto dalla Statua della Libertà, il pubblico americano sembra essere concorde nel manifestare una generale quanto bizzarra “preferenza” per gli immigrati bianchi, di bell’aspetto, in grado di parlare fluentemente la loro lingua e soprattutto cristiani, secondo un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università della California di San Diego, dell’Università del Wisconsin-Madison e della New York University di Abu Dhabi.
Lo studio mostra che la religione è infatti il più diffuso e incisivo fattore di discriminazione. La religione conterebbe più del genere, dell’età, della padronanza dell’inglese o delle competenze professionali. “Su una scala da 1 a 7, tra i rifugiati altrimenti completamente identici provenienti dalla Siria, i musulmani sono valutati circa mezzo punto in meno“, ha affermato la politologa e coautrice dello studio Claire Adidad, ricercatrice presso l’Università di San Diego.
Oltre a dimostrare che il pregiudizio anti-musulmano è prevalente negli Stati Uniti, lo studio mostra anche che differisce anche in base ai sottogruppi: il pregiudizio è più debole tra coloro che si identificano come non cristiani, non bianchi e democratici, rispetto a repubblicani, cristiani e bianchi auto-identificati. Lo studio descrive un esperimento condotto alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016: gli atteggiamenti degli americani ora, sospettano i ricercatori, si sono con ogni probabilità solo acutizzati.
L’esperimento è stato condotto su 1.800 cittadini statunitensi. Si è concentrato in particolare sui rifugiati siriani perché ciò ha permesso ai ricercatori di tener presente una nazionalità costante e di valutare l’influenza di altre caratteristiche rilevanti. Per arrivare ai loro risultati, i ricercatori hanno usato una tecnica statistica comune nella ricerca di mercato chiamata “analisi congiunta“. Hanno presentato a tutti gli intervistati coppie di profili di rifugiati che differivano per età, religione, conoscenza della lingua inglese, sesso e livello di istruzione.
Hanno poi chiesto agli intervistati di valutare entrambi i rifugiati su una scala da 1 a 7, da “Gli Stati Uniti non dovrebbero assolutamente ammetterlo” a “gli Stati Uniti dovrebbero senza dubbio accogliere” quel rifugiato. Ogni intervistato ha contrassegnato tre coppie di rifugiati, per un totale di studio di 5.400 coppie. La chiave per identificare la discriminazione risiedeva nell’assegnazione casuale delle caratteristiche dei rifugiati, consentendo ai ricercatori di isolare gli effetti di un singolo tratto sulle valutazioni.
La cosa sorprendente desunta dallo studio, ha detto Adida, è che non sembra esserci una penalità particolare per essere un uomo musulmano. “C’è una penalità per essere musulmano e una per essere maschio ma non una ulteriore e particolare per gli uomini musulmani“, ha detto Adida. Questa scoperta porta i ricercatori a concludere che le preoccupazioni sulla sicurezza percepite non sono probabilmente i principali fattori che influenzano le scelte degli intervistati.
Co-autori dello studio, oltre ad Adida, sono: Adeline Lo, dottoranda presso l’Università di San Diego, che ha lavorato alla ricerca mentre durante il suoi studi post-dottorato all’Università di Princeton ed è ora professoressa di scienze politiche presso la UW- Madison e Melina Platas, professoressa presso la Stanford University ed ora assistente professore di scienze politiche alla New York University di Abu Dhabi. In un documento precedente, le ricerche mostravano che un esercizio di prospettiva, che consisteva nel chiedere agli americani di immaginarsi come rifugiati, promuove comportamenti inclusivi nei confronti dei rifugiati siriani.
Adida, Lo e Platas stanno ora iniziando un progetto di ricerca per determinare in che misura l’opinione pubblica americana comprende le differenze tra le categorie di migranti (immigrati, rifugiati e richiedenti asilo) e ciò che sanno riguardo la politica che il governo degli Stati Uniti ha adottato in materia di rifugiati. Nell’anno 2020, gli Stati Uniti prevedono di ammettere il numero più basso di rifugiati da quando il Congresso ha creato il programma di reinsediamento di rifugiati nel 1980. Dati estremamente significativi, che forniscono un quadro piuttosto chiaro delle ripercussioni sulla società del fenomeno migratorio.
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