La solitudine, spesso considerata un’esperienza emotiva, si riflette anche nel modo in cui pensiamo e parliamo, in particolare riguardo alla cultura popolare. Due studi recenti pubblicati su Communications Psychology rivelano che gli individui solitari mostrano rappresentazioni mentali e linguaggi insoliti quando si tratta di descrivere celebrità, come Justin Bieber o Kim Kardashian.
Il primo studio ha utilizzato scansioni fMRI per analizzare le risposte cerebrali di 80 partecipanti, con età media di 20-21 anni. Durante l’esperimento, i partecipanti hanno valutato le caratteristiche di persone vicine e celebrità, classificando anche la vicinanza emotiva percepita verso queste figure. I risultati hanno evidenziato che nella corteccia prefrontale mediale, una regione associata alla conoscenza sociale, gli individui solitari mostravano risposte meno simili rispetto agli altri partecipanti.
In altre parole, le persone sole tendono a formare rappresentazioni mentali che divergono dal consenso del gruppo. Questo suggerisce che gli individui solitari potrebbero percepire le celebrità (e, probabilmente, altri aspetti della realtà) in modi non condivisi dalla maggior parte delle persone.
Nel secondo studio, un sondaggio online con 923 partecipanti (età media 40 anni), ai partecipanti è stato chiesto di descrivere una celebrità. L’analisi del testo ha rivelato che le descrizioni degli individui più solitari erano semanticamente meno simili a quelle degli altri. Inoltre, le persone sole erano più inclini a percepire le loro opinioni come imprecise o non condivise.
La solitudine non si limita a influenzare il modo in cui pensiamo: ha anche conseguenze psicologiche e fisiche significative. È correlata a bassa autostima, maggiore sensibilità al rifiuto sociale e difficoltà a mantenere relazioni. Negli anziani, può accelerare il declino cognitivo; nei giovani, interferire con lo sviluppo sociale.
Secondo gli autori, la solitudine altera il rapporto con la realtà condivisa, fondamentale per costruire connessioni sociali e rafforzare la fiducia. Questo isolamento cognitivo si manifesta non solo nelle idee, ma anche nel linguaggio, creando un divario oggettivo tra individui solitari e connessi.
La ricerca si è concentrata sulla solitudine cronica, ma resta da chiarire se queste dinamiche si applicano anche a esperienze transitorie. Comprendere meglio il legame tra isolamento e pensiero potrebbe aprire nuove strade per affrontare le conseguenze della solitudine e promuovere una maggiore inclusione sociale.
La solitudine non è solo uno stato d’animo, ma un fenomeno che influenza profondamente la nostra cognizione e il nostro linguaggio, riflettendosi nelle interazioni con il mondo culturale e sociale che ci circonda.
Foto di Antonio López da Pixabay
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