Per far si che gli uomini possano viaggiare tra le stelle e nello spazio, dobbiamo risolvere alcuni problemi logistici. Uno di questi è il tempo di viaggio coinvolto. Lo spazio è così vasto e la tecnologia umana così limitata che il tempo necessario per viaggiare verso un’altra stella rappresenta una barriera significativa. La sonda Voyager 1, ad esempio, impiegherebbe 73.000 anni per raggiungere Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole, alla sua velocità attuale.
Ricordiamo che questa sonda è stata lanciata circa 40 anni fa e tutti noi ci aspetteremmo che i nuovi veicoli siano più veloci, ma anche cosi si impiegherebbe molto tempo ad arrivare, anche milioni di anni con la nuova tecnologia. Una potenziale soluzione sarebbero le navi di generazione, che vedrebbero più generazioni di viaggiatori spaziali vivere e morire prima di raggiungere la destinazione finale. Un altro sarebbe l’ibernazione artificiale, se potesse essere implementata con successo.
Questo è quello che un recente studio sta cercando di studiare, ma non sugli esseri umani bensì sulle scimmie, innescando in modo chimico uno stato di ipotermia. Lo studio mostra che l’attivazione di una sottopopolazione di neuroni dell’area preottica (POA) mediante una strategia chemogenetica induce in modo affidabile l’ipotermia nei macachi anestetizzati e che si muovono liberamente. I risultati hanno suggerito la regolazione centrale della temperatura corporea nei primati e aprono la strada a future applicazioni nella pratica clinica.
L’ibernazione e il suo stato leggermente meno comatoso, il torpore, sono stati fisiologici che consentono agli animali di resistere a condizioni avverse, come il freddo estremo e la mancanza di ossigeno. La temperatura corporea si abbassa e il metabolismo rallenta a passo d’uomo, mantenendo il corpo in una “modalità di mantenimento” ridotta all’osso, il minimo indispensabile per rimanere in vita prevenendo l’atrofia. Questo può essere trovato in moltissimi animali, come i mammiferi a sangue caldo, ma mai o in pochissimi primati. La ricerca è stata condotta su tre giovani scimmie mangiatori di granchi maschi. Sia negli stati anestetizzati che in quelli non anestetizzati, i ricercatori hanno applicato farmaci progettati per attivare specifici recettori modificati nel cervello.
Quindi, gli scienziati hanno studiato i risultati utilizzando la risonanza magnetica funzionale, i cambiamenti comportamentali e i cambiamenti fisiologici e biochimici. Questo è il primo studio fMRI a studiare le connessioni funzionali a livello cerebrale rivelate dall’attivazione chemogenetica. Un farmaco sintetico, chiamato Clozapina N-ossido, induceva in modo affidabile l’ipotermia sia negli stati anestetizzati che in quelli di veglia nei macachi. Tuttavia nelle scimmie questo stato ha portato a un calo di temperatura corporea interna, impedendo il riscaldamento esterno.
Questo ha dimostrato il ruolo fondamentale che i neuroni POA svolgono nella termoregolazione dei primati. Questo lavoro fornisce la prima dimostrazione di successo dell’ipotermia in un primate basata sulla manipolazione neuronale mirata. Con la crescente passione per il volo spaziale umano, questo modello di scimmia ipotermica è una pietra miliare nel lungo percorso verso l’ibernazione artificiale.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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