Un team di ricercatori ha eseguito una serie di esami che permettono di studiare il famoso monumento di Stonehenge dall’interno. In particolare si tratta di un’approfondita analisi scientifica completa su uno dei 52 megaliti di arenaria del monumento, noti come sarsen, ottenendo informazioni sulla sua geologia e la sua chimica. Lo studio ha permesso di scoprire alcune delle caratteristiche dei tratti che li hanno resi un materiale da costruzione esemplare, inclusa la loro particolare resistenza agli agenti atmosferici.
Il megalite in questione è quello conosciuto come Stone 58, da cui fu prelevato un campione tramite carotaggio, durante i lavori di conservazione degli anni ’50. Sino al 2018 il campione si trovava negli Stati Uniti, dove è rimasto per decenni prima di essere restituito alla Gran Bretagna.
Lo Stone 58 e gli altri sarsen sono costituiti da una pietra chiamata silcrete che si è formata gradualmente pochi metri sotto la superficie del terreno. Si tratta infatti di un crostone del suolo indurito che si forma quando la sabbia e la ghiaia di superficie sono cementate dalla silice disciolta.
Grazie a questa indagine è stato osservato che il silcrete dello Stone 58 è composto principalmente da grani di quarzo delle dimensioni di granelli di sabbia, cementati da un mosaico ad incastro di cristalli di quarzo. Il quarzo è un minerale estremamente resistente e non si sbriciola nè si erode facilmente, anche se esposto a eoni di vento ed intemperie.
Come afferma David Nash, geomorfologo dell’Università di Brighton e autore principale dello studio, “questo spiega la resistenza della pietra agli agenti atmosferici ed il motivo per cui è diventata un materiale ideale per la costruzione di monumenti”.
Nash spiega che i risultati raggiunti nelle analisi del monumento di Stonehenge sono state possibili grazie alla possibilità di studiare il campione dello Stone 58. “Avere accesso al nucleo estratto dallo Stone 58 è stato davvero il Santo Graal per la nostra ricerca. Tutto il lavoro precedente sui sarsen a Stonehenge riguardava campioni scavati dal sito o staccatisi casualmente da esso”.
La carota di pietra estratta da uno dei sarsen di Stonehenge ha un diametro di circa 2,5 cm ed è lunga circa un metro. Ha un colore crema più luminoso dell’esterno dei megaliti presenti sul sito, che tendono al grigio poiché sono stati esposti agli elementi per millenni, mentre il campione proviene dall’interno della pietra, dove è stato protetto da millenni di eventi atmosferici.
Il campione fu regalato come souvenir ad un uomo di nome Robert Phillips che lavorava per una società coinvolta nel lavoro di conservazione del monumento e che si trovava in loco quando fu eseguito il carotaggio. Phillips portò il campione con se quando emigrò negli Stati Uniti nel 1977 per poi decidere di donare il campione alla ricerca, permettendo il suo rientro in patria nel 2018.
Per analizzarlo i ricercatori hanno utilizzato tecniche di scansione TC, i raggi X, le analisi microscopiche e altre tecniche geochimiche. In questo modo hanno potuto studiare frammenti e fette sottilissime del campione, eseguendo quei test che sono assolutamente vietati sui megaliti presenti nel sito di Stonehenge.
Il team di ricerca non è riuscito a stabilire esattamente quando si sia formata la roccia, ma hanno scoperto che alcuni granelli di sabbia incastonati in essa risalgono all’era mesoproterozoica, ovvero da 1 miliardo a 1,6 miliardi di anni fa.
Nash ha inoltre dimostrato, in una ricerca precedente sullo stesso campione, che 50 dei 52 sarsen che compongono il monumento, provengono da un sito a circa 25 km da Stonehenge, conosciuto come West Woods. Questo significa che probabilmente, coloro che hanno costruito Stonehenge, hanno trascinato o spostato le enormi pietre, forse servendosi di tronchi come rulli.
Stonehenge, uno dei siti più famosi in Inghilterra, continua dunque a rivelare alcuni dei suoi segreti, anche se rimane ancora un istero il motivo della sua costruzione, la sua funzione e soprattutto i dettagli della sua costruzione e di coloro che l’hanno voluta, progettata ed ultimata.
Foto di Pete Linforth da Pixabay
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