I tardigradi, degli invertebrati microscopici, sono presenti in ogni luogo della terra e sono noti per resistere alle condizioni più estremi e riuscire a vivere anche in ecosistemi proibitivi per qualsiasi altra forma di vita.
Sono stati sottoposti, nel corso di diversi esperimenti, a condizioni davvero estreme, come temperature altissime o gelide, assenza di ossigeno zero, alte pressioni, all’ebollizione, alle radiazioni cosmiche e persino il vuoto dello spazio, ma niente sembra sconfiggere gli immortali tardigradi. Quando le condizioni si fanno proibitive, possono infatti seccarsi e riconfigurare i loro corpi entrando in una sorta di animazione sospesa, e possono rimanervi per anni.
Grazie ad un nuovo esperimento, alle condizioni estreme a cui i tardigradi sono in grado di sopravvivere, possiamo aggiungere anche essere sparati da una pistola ad alta velocità. È proprio ciò a cui sono stati sottoposti da un team di scienziati, guidati da l’astrochimica Alejandra Traspas e l’astrofisico Mark Burchell, entrambi dell’Università del Kent nel Regno Unito, che volevano scoprire se fossero in grado di sopravvivere agli impatti spaziali.
Lo scopo di questa ricerca era infatti quello di riuscire a determinare a quali condizioni spaziali possano far fronte questi micro invertebrati, così da poter stabilire dove e come potremmo essere in grado di trovare la vita extraterrestre nel Sistema Solare e come potremmo eventualmente evitare di contaminarlo.
Sapere infatti se e come i tardigradi siano in grado di sopravvivere ad impatti spaziali, potrebbe avere implicazioni per l’astrobiologia, incluso il modello della panspermia, che propone che la vita possa essere distribuita in tutto il cosmo tramite asteroidi e comete che si schiantano sui pianeti.
Potremmo anche riuscire a determinare quanto sia probabile che i tardigradi sopravvivano in luoghi come la nostra Luna o la luna di Marte, Phobos. Si tratta infatti di luoghi che potrebbero essere stati colpiti rispettivamente da ejecta dalla Terra e da Marte, portando potenzialmente su di essi la vita microscopica.
L’esperimento è stato progettato dall’astrofisico Burchell, specializzato negli impatti di ipervelocità. Per realizzarlo i ricercatori si sono avvalsi dell’utilizzo di una pistola a gas leggero a due stadi in dotazione al suo dipartimento.
Questo strumento utilizza un processo in due fasi per accelerare i proiettili. Prima la polvere da sparo, poi un gas leggero come l’idrogeno o l’elio posti sotto una rapida pressurizzazione, vengono utilizzati per raggiungere velocità fino a 8 chilometri al secondo.
Lo strumento è stato utilizzato per sparare, letteralmente, degli esemplari di Hypsibius dujardini, tardigradi d’acqua dolce precedentemente congelati per indurre lo stato di ibernazione. I microscopici invertebrati sono stati quindi caricati nella pistola e sparati contro bersagli di sabbia in una camera a vuoto a una gamma di velocità da 0,556 a 1,00 chilometri al secondo.
Al termine di ogni sparo il bersaglio di sabbia è stato versato in una colonna d’acqua per isolare i tardigradi, e osservarli in modo da determinare quanto tempo fosse necessario perché uscissero dal loro stato di quiescenza e tornassero alla normalità, confrontandoli con un gruppo di controllo di 20 tardigradi che non sono stati né congelati né sparati.
I tardigradi del gruppo di controllo si sono ripresi dopo circa 8 o 9 ore. Mentre quelli sparati ad alta velocità sono sopravvissuti fino a una velocità di impatto di 825 metri al secondo, anche se hanno impiegato più tempo per riprendersi, il che suggerisce che vi siano stati danni interni.
Il lanci invece allo step successivo di velocità, 901 metri al secondo, sono stati invece fatali per i piccoli tardigradi. Come spiegano i ricercatori nel loro articolo, “negli scatti fino a 0,825 km/s, i tardigradi intatti sono stati recuperati dopo il colpo, ma negli scatti ad alta velocità sono stati recuperati solo frammenti di tardigradi. Così anche i tardigradi sono stati fisicamente frantumati con l’aumentare della velocità dell’impatto”.
Questo indica che la soglia di sopravvivenza alla velocità d’impatto è compresa tra questi due numeri, ed equivale a una pressione d’urto di 1,14 gigapascal, il che pone alcuni seri limiti alla loro sopravvivenza ad un impatto spaziale.
Ad esempio, sebbene lo studio non risponda direttamente alla domanda, sembrerebbe che i tardigradi potrebbero non essere sopravvissuti all’impatto della sonda Beresheet sulla Luna. Sappiamo infatti, dai dati finali ricevuti dalla sonda, che durante l’impatto raggiunse una velocità verticale di 134,3 m/s e una velocità orizzontale di 946,7 m/s.
Parte del materiale espulso dalla Terra invece, sollevato dagli impatti di meteoriti, che raggiunge la nostra Luna, si trova invece entro il raggio di sopravvivenza dei tardigradi. Quindi è possibile che i tardigradi possano sopravvivere al viaggio di espulsione dalla Terra alla Luna.
Per Phobos invece, la situazione potrebbe farsi più complicata. Secondo le stime infatti il materiale proveniente da Marte colpisce Phobos a velocità comprese tra 1 e 4,5 km/s. Beno oltre le possibilità di sopravvivenza dei tardigradi. Anche nell’improbabile caso in cui qualche tardigrado possa sopravvivere, la dura radiazione solare e cosmica avrebbe ucciso gli eventuali superstiti.
Ora il passo successivo della ricerca sarà dunque quello di stabilire quali siano gli effetti a lungo termine del lancio subito con una pistola ad alta velocità. Anche se i tardigradi possono sopravvivere ad un impatto spaziale entro certi limiti di velocità, non sappiamo cosa questo comporti per il loro organismo nel lungo termine.
Ph. Credit: MediaINAF
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