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Il vaccino anti-Covid di Oxford ha dato una “forte risposta immunitaria”

Dal Regno Unito arrivano ottime notizie per quanto riguarda la ricerca su uno dei vaccini anti-Covid-19, in particolare su quello studiato presso la Oxford University, in collaborazione con l’azienda biotech italiana Irbm di Pomezia. “Il vaccino ha indotto una forte risposta immunitaria e anticorpale fino al 56esimo giorno di sperimentazione“, si legge nel documento redatto dal team che ha lavorato al farmaco, i cui risultati sono inoltre stati pubblicati sulla rivista Lancet.

I test sono stati condotti soprattutto in Brasile, dove l’ epidemia si sta ancora facendo sentire in maniera molto forte. Ulteriori risultati della sperimentazione sono attesi entro l’inizio di settembre, si prevede su un numero di almeno 10mila pazienti; in questo modo, potrà darsi maggior contezza non solo dell’efficacia del vaccino, ma anche in merito alla sua sicurezza. I tempi per una distribuzione su larga scala sono ancora incerti, ma potremmo vedere passi avanti durante il 2021, dal momento che la sperimentazione sui soggetti più a rischio dovrebbe iniziare ad ottobre di quest’anno.

 

Il vaccino non sarà distribuito su larga scala prima del prossimo anno, ma Italia, Francia, Germania e Olanda hanno già l’accordo

Il nostro paese, insieme a Germania, Francia e Olanda, ha già stipulato un accordo teso a garantire la distribuzione di almeno 400 milioni di dosi con la casa farmaceutica britannica AstraZeneca: “Serve ancora tempo e prudenza. Ma i primi riscontri sul vaccino dell’Università di Oxford sono incoraggianti. L’Italia, con Germania, Francia e Olanda, è nel gruppo di testa per questa sperimentazione. Continuiamo ad investire sulla ricerca scientifica come chiave per sconfiggere il virus“, ha affermato il ministro della Salute, Roberto Speranza.

Anche dalla Cina arrivano notizie incoraggianti in merito ad un secondo vaccino, sviluppato dall’azienda biotech CanSino, che è stato somministrato in prima istanza ai militari dell’Armata Rossa. Entrambi i farmaci sfruttano il sistema del “vettore virale” per combattere l’infezione: al genoma di un adenovirus, che normalmente causa un semplice raffreddore, viene aggiunto un frammento di DNA per la produzione della proteina spike: la punta della “corona” del coronavirus. Quando l’adenovirus viene iniettato nell’organismo, si diffonde fra le nostre cellule e ordina loro di produrre spike, in modo che le punte della corona fungano da antigene innescando il sistema immunitario senza causare alcuna malattia. Se all’organismo capiterà di infettarsi, incontrando il coronavirus, le nostre difese saranno capaci di riconoscerlo e combatterlo.

Nello Giuliano

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