Quasi trent’anni fa nel New England, uno regione degli USA che comprende sei stati, veniva trovata una bara con all’interno qualcosa di strano. Era uno scheletro, ma il modo in cui le ossa erano state arrangiate al suo interno indicava che chi ci aveva messo mano pensava che quelli erano i resti di un vampiro. Usarono un metodo che secondo le credenze popolari avrebbe impedito all’essere di tornare a perseguitare i vivi ovvero preso la testa e gli arti per poi riposizionarli sopra le costole per poi fare una croce con le altre ossa.
In un paese dove venivano bruciate donne con l’accusa di stregoneria qual è la cosa strana nel fare una cosa del genere? Semplicemente il fatto che quelli sono stati gli unici resti di un presunto vampiro presi seriamente dalla scienza. Il fatto che qualcuno si sia mosso in tal senso però ha un fondamento razionale. Il National Museum of Health and Medicine di Silver Sprige nel Maryland voleva fare un collegamento tra la malattia che ha ucciso l’uomo e la paura dei vampiri che si era sviluppata in quella regione tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800.
I segni sulle ossa delle uomo, poi identificato come un contadino chiamato John Barber, indicano una morte per tubercolosi. Si tratta di una malattia dolorosa che può arrivare persino a sfregiare il tessuto osseo e questo si poteva vedere senza problemi nelle costole del defunto. Secondo le dicerie di quel tempo, chi moriva per quella malattia finiva per lasciare la tomba, infettare i parenti prosciugandone sangue e vita.
La pratica di aprire la tomba e riarrangiare le ossa si chiamava esumazione terapeutica e venne descritta da un medico dell’epoca. Quest’ultimo si chiamava Bell e ha documentato ben 80 casi di tale pratica. In ogni caso l’oggetto dello studio era anche scoprire il nome dell’uomo sepolto all’interno della tomba. Analizzando il DNA scoprirono che c’era una corrispondenza con il cognome Barber e con grazie ad un vecchio giornale scoprirono che nel 1826 un ragazzo di nome Nathan Barber venne sepolto il quale aveva la tomba vicino a quella del padre. Da qui il nome John, probabilmente scelto perché era comune all’epoca, e il cognome Barber.
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