Nell’epoca dei viaggi interplanetari, con sonde su Marte e sulla Luna e telescopi in orbita che osservano pianeti, stelle e galassie, c’è chi immagina una soluzione per i viaggi interstellari. Tra questi David Kipping, professore di Astronomia della Columbia University, che ha immaginato un “motore” che usa i buchi neri per spingere un’astronave fino a velocità relativistiche, cioè vicine a quella della luce.
Kipping ha calcolato che è possibile far viaggiare un’astronave tra le stelle sfruttando un raggio laser alimentato dalla forza gravitazionale di due buchi neri. Sparando il raggio laser questo come un boomerang, tornerà indietro potenziato grazie all’immensa attrazione gravitazionale. Il laser trasferirebbe l’energia accumulata alla vela della navicella, spingendola quasi alla velocità della luce.
In questo modo ci si potrà spostare rapidamente da una parte all’altra dell’Universo. È però un idea decisamente pericolosa perché, sebbene sulla carta funzioni, bisogna comunque avvicinarsi moltissimo ad un buco nero, col rischio di essere distrutti dalla sua immensa forza gravitazionale.
Elisa Nichelli, astrofisica dell’INAF ha dichiarato che “sulla carta lo studio potrebbe funzionare, traducendo su un raggio di luce l’effetto fionda usato dalle sonde spaziali. Avrebbe anche il vantaggio di far risparmiare un sacco di carburante”.
Il perno centrale di questa ipotesi è il concetto della fionda gravitazionale, una tecnica già utilizzata con successo per le missioni robotiche odierne. Si tratta del meccanismo dello sligshot, la fionda usata per raggiungere obiettivi lontani nel Sistema solare. Una sonda lanciata nello spazio passa vicino a un corpo massiccio (un pianeta ad esempio) e sfruttando l’attrazione gravitazionale acquisisce momento e velocità.
Le sonde spaziali, infatti, vengono spinte a grandissima velocità verso gli obiettivi sfruttando il movimento e la forza di gravità dei pianeti, orbitandovi attorno prima di essere “fiondate” verso i loro obiettivi finali. Ad esempio la sonda OSIRIS-Rex della NASA, ha utilizzato proprio la Terra per spingersi a gran velocità verso l’asteroide Bennu. È una tecnica estremamente efficiente che permette un notevole risparmio di carburante.
Il professor Kipping, nella tecnologia da lui ipotizzata, ha pensato di sfruttare un sistema di due buchi neri per potenziare un raggio laser inviato dalla navicella impegnata nel viaggio interstellare. I fotoni emessi dalla navicella, rimbalzando da un buco nero all’altro verrebbero caricati di energia, che a sua volta sarebbe trasferita come energia cinetica per spingere la vela dell’astronave.
Come ha spiegato la Nichelli: “un raggio laser non può acquistare velocità, perché non può andare più veloce della luce, ma può acquistare energia, che l’astronave può immagazzinare e usare per accelerare. Lo studio prende in considerazione una coppia di buchi neri perché orbitano uno attorno all’altro e poi perché l’effetto del campo gravitazionale è molto amplificato. Inoltre raramente i buchi neri sono isolati, più spesso li troviamo in coppia con un’altra stella o con un altro buco nero”.
Kipping nel suo studio ipotizza che una civiltà extraterrestre possa già usare una tecnologia del genere. Ma per l’uomo al momento si tratta ancora di fantascienza. Nichelli ci spiega perchè al momento non è realizzabile: “lo studio non specifica quante volte bisogna ripetere il boomerang col raggio laser e secondo i calcoli sarebbe efficace solo da una distanza dal bordo del buco nero che va da due a 20 volte il raggio di Schwarzschild,ovvero poche decine di chilometri, piuttosto pericoloso”. E poi c’è la questione di tecnologia pratica, non siamo infatti ancora all’altezza di “progettare un’astronave abbastanza leggera e resistente all’inerzia di velocità relativistiche”.
Questa teoria assomiglia molto al progetto presentato da Stephen Hawking nel 2016. Breakthrough starshot, un progetto per spedire microsonde attorno a Proxima Centauri usando potenti raggi laser e vele per arrivare a velocità pari a un quinto di quella della luce.
I dettagli sulla teoria dell’astrofisico americano sono stati pubblicati su arXiv.
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