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Recensione Atomic Heart: un FPS divertente e da consigliare

Atomic Heart è il titolo di debutto di Mundfish, un team tutto nuovo che nel corso degli anni (il primo trailer del gioco comparve nel 2017) è stato in grado di catturare fortemente l’attenzione su un gioco che in molti hanno paragonato a Bioshock ma in salsa russa. Come sarà la realizzazione finale? scopriamolo da vicino nella nostra recensione completa.

 

Trama

Il primo impatto è importante, l’incipit iniziale è indubbiamente uno dei migliori degli ultimi anni, una introduzione che catapulta alla perfezione l’utente nell’ambientazione di gioco degli anni ’50, periodo nel quale l’Unione Sovietica domina il mondo, grazie ad una tecnologia anni luce avanti rispetto alla concorrenza. Sebbene gli anni siano profondamente nel passato rispetto ad oggi, la nazione mostrata all’utente può vantare città volanti, robot autonomi, macchine assurde e difficilmente immaginabili.

Un mondo in cui lo Stato vuole creare una sorta di mente collettiva, grazie al cosiddetto Kollectiv, un network neurale che collegherebbe tutte le persone viventi e residenti sul pianeta, pur mantenendo le varie individualità. Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, ma l’ostacolo è sempre dietro l’angolo. Qui entriamo in gioco noi, pronti ad impersonare l’Agente P-3, inviato sulla Struttura 3826, un ambiente enorme che rappresenta il fulcro centrale della produzione sovietica, in termini di ricerca e sviluppo delle nuove tecnologie, ma anche nella produzione vera e propria di robot.

Inizialmente inviati per una semplice missione di routine, la situazione presto precipita, sia a causa dell’ingerenza di agenti esterni, ma soprattutto per la ribellione dei robot, pronti ad uccidere senza mezze misure o pensieri tutti gli esseri umani. Spetterà a noi, Agente P-3, cercare di mettere un freno e salvare il più possibile. La direzione artistica è complessivamente molto buona, il ritmo elevato e le tantissime spiegazioni di contorno non fanno altro che rendere l’utente più partecipe e coinvolto nell’esperienza, sebbene comunque si possano notare alcuni aspetti rivedibili (come ad esempio lo stile del personaggio che ricorda più un americano che un sovietico) che mostrano l’inesperienza di Mundfish.

 

Grafica

Nella nostra prova su PS5, il frame rate si è dimostrato stabile in ogni singolo momento della partita, e dobbiamo ammettere di essere rimasti piacevolmente colpiti dall’eccellente ottimizzazione anche al giorno del lancio (da tempo non trovavamo un titolo così pulito sin da subito). La conta poligonale è alta, con texture ben definite e nitide, non può essere paragonato ad un titolo next-gen, l’ambientazione è ad ogni modo molto affascinante, con art design di impatto ed in grado di nascondere vere e proprie unicità, il tutto condito con panorami mozzafiato, ed una serie di particolarizzazioni grafiche, anche all’interno delle varie basi che attraverseremo, perfettamente studiate per creare contorno e coinvolgimento nella storia, con tantissime didascalie e spiegazioni sul mondo che ci circonda.

La colonna sonora è leggermente caotica, la scelta degli sviluppatori di creare il giusto mix tra vari stili musicali, partendo ad esempio dai brani classici, passando per il metal, il rock o il pop, non convince appieno, creando confusione e non essendo sempre in grado di seguire alla perfezione il ritmo dell’azione. Dall’altro lato il doppiaggio totale in Italiano (anche vocale), è perfetto ed è sicuramente apprezzato, in un periodo in cui la nostra lingua viene spesso bistrattata dagli sviluppatori.

 

Meccanica di gioco e Gameplay

Atomic Heart è un titolo a doppia anima, tecnicamente si tratta di un FPS con derivazioni verso abilità soprannaturali, grazie ai polimeri ed il guanto Charles, il quale parte più o meno lentamente puntando forte sull’esplorazione ed il crafting, per poi virare verso attacchi brutali e caotici di tanti nemici, in perfetto stile Doom Eternal.

La base dell’esperienza non potrebbe essere più chiara, ci troviamo in una mappa aperta, le cui dimensioni sono complessivamente discrete, che può essere liberamente esplorata. L’esplorazione gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di missioni secondarie, che vi porteranno a scoprire aree nascoste (e nelle quali è difficili entrare), il cui premio finale sarà un potenziamento altrimenti irraggiungibile. Tutte le aree aperte sono pattugliate da robot  con un fiuto estremamente elevato (ci riconoscono da molto lontano), i quali potranno essere rianimati da droidi volanti. Il senso di insicurezza e di timore è costante, sarà possibile affidarsi allo stealth, ma abbiamo notato una carenza di ripari, che limita in parte tale possibilità.

La progressione è lineare e non troppo legata al crafting, sarà fondamentale acquisire tutte le risorse necessarie, senza richiedere azioni eccessive all’utente. Il quantitativo di armi è più che sufficiente, non spiccano di originalità, ma grazie ai vari potenziamenti è possibile godere di un piacevole senso di progressione che varierà il più possibile l’esperienza. A rendere il gameplay ancora più vario, oltre a scontri corpo a corpo ben riusciti, con una piacevole sensazione nello sferrare i colpi, troviamo le abilità soprannaturali del personaggio.

Grazie al guanto, infatti, sarà possibile selezionare due abilità per volta (come il congelamento dei nemici, uno scudo virtuale), o anche la scossa per bloccarli temporaneamente o freezare le videocamere di sicurezza, tutte potenziabili tramite i tantissimi punti di salvataggio sparsi per l’area di gioco. Gli effetti sono piacevoli e versatili, peccato forse che i tempi di ricarica siano spesso elevati, andando difatti a limitarne l’utilizzo nel corso dell’avventura, portando il giocatore ad optare sempre per lo scontro a fuoco (o il corpo a corpo). Per quanto riguarda la progressione del personaggio, non possiamo assolutamente trovare negatività di alcun tipo, l’albero delle abilità è vario, con potenziamenti facilmente raggiungibili, che non richiedono un backtracking eccessivo.

I nemici sono vari, ma non troppo, abbiamo apprezzato la “guida” introduttiva che un automa di livello superiore ci pone nella struttura, mostrando anche i vari originali ambiti di utilizzo dei robot stessi. Questi presentano a loro volta delle resistenze elementali, contro fuoco, armi da sparo, ghiaccio e simili, che diventano fondamentali ai livelli più alti. Il grado di difficoltà è ampiamente regolabile, l’esperienza non è complessivamente troppo difficile o complessa, anche i boss possono essere battuti senza troppa fatica, o con tattiche estenuanti.

 

Atomic Heart – conclusioni

In conclusione Atomic Heart è un’opera sicuramente ben riuscita, il primo lavoro di Mundfish mostra il fianco in alcune occasioni, ma è comunque in grado di garantire un’esperienza piacevole e divertente, condita con un gameplay vario, una buona progressione, è una direzione artistica di tutto rispetto. Ottima la longevità, più che adeguata per un titolo di questo tipo.

Dall’altro lato della medaglia troviamo una tendenza dell’avventura a virare eccessivamente sugli scontri a fuoco, lo “stile Doom” può piacere, ma Atomic Heart rischia di perdersi in un gunplay forsennato troppo difficile da reggere, con una intelligenza artificiale tutt’altro che “intelligente”, e puzzle ambientali inizialmente ispirati, che nel tempo diventano troppo semplici ed elementari.

Denis Dosi

Appassionato di tecnologia e di scrittura sin dalla tenera età, mi laureo in Ingegneria Informatica presso il Politecnico di Milano nel 2016. Ora lavoro con Focustech riuscendo a combinare le mie due più grandi passioni.

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