Con DOOM: The Dark Ages, id Software riscrive le regole del suo franchise leggendario. Niente più basi lunari o tecnologie UAC: qui si viaggia indietro nel tempo, fino alle origini mitologiche del Doom Slayer. Ambientato in un universo fantasy oscuro e primitivo, il gioco è un prequel che racconta non solo la nascita di un’icona, ma anche quella di un mondo dannato e rituale. Il risultato? Una reinterpretazione coraggiosa, potente e straordinariamente riuscita.
Trama
La storia di The Dark Ages ci trasporta in un’epoca brutale e dimenticata. Il protagonista è un guerriero caduto, il Reietto, risvegliato dai Custodi della Lama di Sangue per fermare l’avanzata dell’”Oscurità Profonda”, un potere demoniaco che consuma interi regni. Il viaggio che intraprende è silenzioso ma carico di senso: non ci sono dialoghi, ma la leggenda prende forma attraverso scenari, iscrizioni arcane e visioni simboliche.
Nel corso del gioco, il Reietto si trasforma. L’armatura diventa la leggendaria corazza Praetor, la maschera si salda al volto come sigillo eterno, e le sue azioni alimentano la leggenda. Il Doom Slayer, così come lo conosciamo, nasce in mezzo alla rovina.
Gameplay
Il sistema di combattimento conserva il DNA DOOM, ma lo evolve in una direzione più strategica e brutale. Lo Shield Saw, uno scudo-motosega capace di parare, contrattaccare e tranciare i nemici, rivoluziona il ritmo degli scontri. Il movimento è meno verticale rispetto a DOOM Eternal, ma più calcolato, con schivate precise e un posizionamento che diventa cruciale.
L’arsenale unisce tecnologia e misticismo: armi familiari, come il Super Shotgun e la Heavy Cannon, assumono forme arcaiche e rituali, senza perdere in potenza o soddisfazione. Gli scontri, come sempre, sono coreografie di violenza, ma ora richiedono osservazione, pazienza e improvvisazione. La difficoltà è ben bilanciata, ma non perdona. I nemici — intelligenti e aggressivi — reagiscono in modo dinamico, obbligando il giocatore a variare stile e strategia. Ogni arena è un enigma mortale da affrontare con mente e muscoli.
Grafica
L’impatto visivo di The Dark Ages è semplicemente straordinario. Il motore grafico id Tech 8 spinge ogni pixel al limite: rovine monumentali, castelli in rovina, cieli tempestosi e portali infernali vengono resi con un dettaglio spaventoso. Le luci volumetriche, il ray tracing e gli effetti particellari contribuiscono a un’atmosfera immersiva e opprimente, perfettamente in linea con la visione artistica del gioco. La direzione artistica si allontana dallo sci-fi per abbracciare un gotico fantasy contaminato da biomeccanica e sacrilegio. Ogni ambientazione racconta qualcosa: non c’è un luogo che sembri generico. Ogni arena, ogni rovina, ogni santuario spezzato ha una storia da raccontare.
L’ottimizzazione tecnica è eccellente. Il gioco gira fluido su tutte le piattaforme, con caricamenti rapidissimi e un framerate stabile anche nelle sezioni più caotiche. Su PC, il ray tracing e le opzioni grafiche avanzate offrono un’esperienza visiva di altissimo livello. Notevole anche l’attenzione all’accessibilità. Il titolo offre una vasta gamma di opzioni per giocatori con disabilità motorie, visive e cognitive. Inoltre, il sistema di difficoltà è personalizzabile in modo estremamente dettagliato, rendendo l’esperienza accessibile sia ai veterani che ai neofiti.
Nemici e Boss
Il bestiario è ricco, disturbante e narrativamente coerente. I demoni non sono semplici bersagli: incarnano archetipi oscuri, da cavalieri corrotti a mostri evocati da riti proibiti. Alcuni sembrano scolpiti nel marmo dell’inferno stesso. Il Vagary, ad esempio, è una creatura aracnide con poteri psichici, mentre l’Agadon Hunter è un’ex-guardia sacra, ora prigioniera della corruzione.
I boss sono momenti di climax, spettacolari, ma mai fini a sé stessi. Ogni scontro è progettato come una sfida tecnica e narrativa, dove la vittoria ha un significato anche simbolico.
Conclusioni
DOOM: The Dark Ages è più di un semplice prequel: è una reinvenzione intelligente e rispettosa di una saga che, dopo quasi trent’anni, continua a sorprendere. Il gameplay resta solido e appagante, ma si arricchisce di meccaniche più profonde; la grafica e l’atmosfera raggiungono nuove vette, e la narrazione — per la prima volta — si avvicina al mito, senza mai diventare invadente.
Non è un gioco per tutti. Chi cerca l’adrenalina pura di DOOM Eternal potrebbe inizialmente trovarlo più lento o meno “arcade”. Ma per chi è disposto a immergersi in un universo più oscuro, simbolico e narrativamente denso, The Dark Ages rappresenta forse il capitolo più ambizioso e affascinante dell’intera serie.