L’uso di antibiotici in Italia, nonostante sia in diminuzione, è ancora molto superiore alla media europea. Dal rapporto “L’uso degli antibiotici in Italia”, dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) emerge infatti una grande variabilità nei consumi e nella spesa tra le Regioni, con valori più elevati al Sud e nelle Isole e inferiori al Nord.
Circa il 90% del consumo di antibiotici a carico del SSN è in regime di assistenza convenzionata, questo significa che gran parte dell’utilizzo è dovuto alla prescrizione del medico di base o del pediatra. L’utilizzo più frequente di antibiotici nei mesi invernali è correlato con i picchi di sindromi influenzali osservati nei diversi anni. Ma “una parte rilevante di prescrizioni potrebbe essere evitata”, considerata anche l’oscillazione stagionale del consumo di antibiotici.
Ciò che preoccupa maggiormente l’AIFA è l’aumento della resistenza, quel fenomeno per cui batteri resistono ad antibiotici che una volta erano in grado di sconfiggerli, “favorito, secondo l’Aifa, dal consumo inappropriato e dall’abuso degli antibiotici” e che “rappresenta un problema di salute pubblica di entità preoccupante a livello mondiale”. L’antibiotico-resistenza infatti causa un incremento della mortalità. L’Italia è tra i Paesi europei con i maggiori consumi e con i tassi più elevati di resistenza e multi-resistenza.
Il tasso più alto di consumi si ha nelle regioni Campania e Puglia, dove si riscontra un maggior consumo di antibiotici nelle fasce di età estreme, ovvero nei primi 4 anni di vita e dopo i 75 anni.
Nel corso del 2017, il 41,4% della popolazione pediatrica (0-13 anni) appartenente alle 6 Regioni analizzate (Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Campania e Puglia) ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotici sistemici. Circa il 50% delle prescrizioni si riscontra nel primo anno di vita del bambino. Questo valore rimane più o meno costante fino ai 6 anni, con una diminuzione progressiva fino ai 13 anni. In Italia, la probabilità per un bambino di ricevere antibiotici, è due volte più alta che in paesi del Nord Europa o nei paesi scandinavi.
Queste differenze potrebbero essere il risultato di atteggiamenti culturali della popolazione generale e dei medici. Nel nostro paese siamo molto abituata agli antibiotici, per cui al minimo sintomo vengono richiesti, pensando che in questo modo si possa risolvere la malattia molto più in fretta. Ma a volte alcune infezioni devono avere il loro decorso e durano a lungo.
L’altro dato che emerge dal rapporto AIFA è che spesso usiamo gli antibiotici in modo scorretto, preferendo a volte farmaci che andrebbero usati per infezioni più serie. Ad esempio nei bambini si usano spesso cefalosporine o macrolidi, considerati farmaci ai quali ricorrere in caso di infezioni più gravi e in genere nell’ambito di trattamenti ospedalieri.
Questa tendenza è dovuta sia alle spinte del marketing aziendale, sia al fatto che in alcuni casi sono considerati più semplici da utilizzare, in quanto richiedono una sola somministrazione giornaliera. Ciò risulta più comodo soprattutto nel caso di bambini, spesso più restii ad assumere medicinali.
Le associazioni di penicilline sono invece gli antibiotici più utilizzati, a cui seguono le cefalosporine ed i macrolidi. Secondo il rapporto AIFA, il più prescritto è l’associazione amoxicillina/acido clavulanico, suggerendo un eccessivo utilizzo di questo farmaco. Spesso potrebbe infatti essere usata la sola amoxicillina.
L’Aifa invita a porre attenzione alla questione, in quanto la questione dell’antibiotico resistenza è molto seria, sebbene per ora i rischi maggiori si corrono soltanto in caso di ricoveri ospedalieri. Come riferisce il rapporto AIFA, nel 2015 un terzo dei decessi per infezioni antibiotico-resistenti di tutta l’area europea si è verificato in Italia.
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