Scoperta al de Bellis di Castellana: bloccando una proteina riparatrice del DNA, non più chemio ma terapie farmacologiche mirate per uccidere solo le cellule tumorali. La ricerca, guidata dal professor Simone e sostenuta da Fondazione Airc, ha portato alla scoperta del ruolo del gene SMYD3 nelle neoplasie.
Una volta sviluppati i farmaci inibitori, si potrà evitare la chemio nel 10-15% dei cancri al seno, colon, ovaio e pancreas. I ricercatori hanno per la prima volta dimostrato come un recente farmaco sperimentale sia in grado di bloccare questa ricezione di informazioni e inibire l’aggressività del tumore.
Il lavoro del de Bellis ha fatto luce sul suo funzionamento, dimostrando come, in alcuni casi, bloccando la proteina con farmaci inibitori le cellule tumorali non riescano ad a riparare il proprio DNA e muoiano. Tuttavia quali sono questi casi? Intanto, parliamo di fasce non indifferenti di tumore al seno (15% dei casi), colon (11%), ovaio (15%), pancreas (10%). Dunque, le nostre cellule possiedono delle squadre di manutenzione, che riparano eventuali danni nel DNA. Questo meccanismo serve a mantenere in salute le cellule sane, ma è utilizzato anche da quelle tumorali per difendersi dai danni inflitti dalla chemioterapia.
Le principali squadre operaie in realtà non sono le SMYD3 – che per le cellule rappresentano una sorta di piano B – ma hanno altri nomi, BRCA1/2 e PARP. Inquadra il tutto lo stesso professor Simone: “La nostra scoperta amplia l’applicabilità del cosiddetto meccanismo di ‘letalità sintetica’, che sfruttando le differenze genetiche fra cellule tumorali e cellule normali, permette di uccidere in maniera mirata solo quelle cancerose, risparmiando le sane“. Un principio dunque con grandi potenzialità, finora utilizzabile però solo nella terapia del cancro dell’ovaio e del pancreas e solo in pazienti oncologici predisposti a causa di mutazioni dei geni BRCA1/2.
Un difetto in questi ultimi geni, coinvolti nella riparazione del DNA, è associato allo sviluppo di tumori al seno o alle ovaie rispettivamente nel 5 e 15% dei casi. Utilizzando sostanze che inibiscono un particolare enzima chiamato PARP, addetto alla riparazione del DNA, la terapia basata sulla letalità sintetica va a colpire così solo le cellule difettose, quelle cioè in cui i geni BRCA1/2 risultano mutati. Farmaci mirati dunque, non chemio. Ma non tutti i soggetti malati presentano questa mutazione. E ciò ha reso finora ridotte le possibilità di applicare la letalità sintetica.
Hanno dimostrato che bloccando la funzione della proteina oggetto della nostra ricerca, la SMYD3, si possono rendere sensibili agli inibitori di PARP anche cellule tumorali in soggetti con geni BRCA1/2 normalmente funzionanti, non mutati. Ciò perché hanno scoperto che SMYD3 è un partner fondamentale di queste proteine della riparazione, e inibendolo si blocca anche la loro funzione, ottenendo un effetto simile a quello di una mutazione genetica nel gene corrispondente.
Grazie a un’analisi dei dati di circa 2000 pazienti a livello mondiale, hanno identificato una percentuale di tumori che, non presentando deficit della riparazione del DNA, aumentano molto però la produzione di SMYD3, e dunque sono sensibili alla sua inibizione: questi, per i quali finora esisteva solo la chemioterapia, rappresentano il target terapeutico farmacologico.
Il loro obiettivo è sviluppare gli inibitori di SMYD3 in modo da ottenere farmaci potenti da testare in studi clinici controllati, ai fini di questa nuova terapia farmacologica combinata. Da sottolineare la collaborazione con l’NIH statunitense oltre che con altri gruppi Airc di Roma, Bologna e Milano, a sottolineare la portata internazionale e interdisciplinare della ricerca.
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