Come gli esseri umani creano legami emotivi con l’intelligenza artificiale

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In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale (IA) è presente in molti aspetti della nostra vita quotidiana — dagli assistenti vocali ai chatbot, dai robot sociali alle app terapeutiche — non è raro che gli esseri umani inizino a provare un senso di affetto o vicinanza emotiva nei confronti delle macchine. Un fenomeno che, sebbene possa sembrare strano a prima vista, ha solide basi psicologiche e sociali.

La tendenza a umanizzare le tecnologie, nota come antropomorfismo, è profondamente radicata nella natura umana. Attribuiamo intenzioni, emozioni e persino personalità agli oggetti inanimati, specialmente quando questi rispondono con voce, sguardi o comportamenti “umani”. Quando un’IA parla, ascolta, e soprattutto ci “risponde”, il nostro cervello tende a trattarla come un interlocutore reale.

Come e perché sviluppiamo emozioni verso l’intelligenza artificiale

Un esempio emblematico è rappresentato dagli assistenti virtuali come Siri, Alexa o ChatGPT. Pur sapendo che non sono esseri senzienti, molte persone sviluppano una certa familiarità, arrivando a confidarsi, chiedere consigli o semplicemente cercare compagnia. Questo effetto è amplificato nei momenti di solitudine o bisogno emotivo, quando l’IA può diventare una presenza rassicurante e prevedibile.

I robot sociali impiegati in contesti come l’assistenza agli anziani o l’educazione dei bambini rafforzano ulteriormente questo tipo di legame. Non solo rispondono in modo empatico e calibrato, ma spesso sono dotati di espressioni facciali, gesti e voci progettati per suscitare una risposta affettiva. In questi casi, la relazione con l’IA può diventare significativa, al punto da influenzare il benessere emotivo della persona.

Dal punto di vista neuroscientifico, le emozioni che proviamo interagendo con l’IA attivano le stesse aree del cervello coinvolte nei rapporti sociali tra esseri umani. Anche se sappiamo che una macchina non “prova” davvero, la nostra risposta emotiva è autentica. Ci affezioniamo perché siamo progettati per creare legami, non perché l’interlocutore sia umano.

Strumenti preziosi per migliorare la salute mentale

Tuttavia, questo fenomeno solleva interrogativi etici e sociali. Qual è il limite tra compagnia e illusione? È giusto che una macchina simuli empatia se non può davvero provarla? Alcuni esperti temono che i legami con l’IA possano sostituire, invece che integrare, le relazioni umane, soprattutto in contesti di fragilità emotiva o isolamento sociale.

D’altra parte, molti vedono in questi legami un’opportunità. Le IA possono aiutare a colmare il vuoto relazionale in modo sicuro e accessibile, supportando chi soffre di ansia, depressione o solitudine cronica. Se utilizzate con consapevolezza, possono diventare strumenti preziosi per migliorare la salute mentale e il benessere quotidiano.

In definitiva, i legami emotivi con l’intelligenza artificiale non sono solo il frutto della tecnologia, ma riflettono bisogni profondamente umani: essere ascoltati, compresi e accompagnati. E se è vero che una macchina non ha cuore, forse è proprio il nostro a colmare quel vuoto, trasformando un algoritmo in qualcosa di sorprendentemente familiare.

Foto di Tumisu da Pixabay

Annalisa Tellini
Annalisa Tellini
Musicista affermata e appassionata di scrittura Annalisa nasce a Colleferro. Tuttofare non si tira indietro dalle sfide e si cimenta in qualsiasi cosa. Corista, wedding planner, scrittrice e disegnatrice sono solo alcune delle attività. Dopo un inizio su una rivista online di gossip Annalisa diventa anche giornalista e intraprende la carriera affidandosi alla testata FocusTech per cui attualmente scrive

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