La scienza nutrizionale sembra giungere a conclusioni spesso altalenanti e altrettante volte addirittura contraddittorie. Si sa, quando si tratta di alimentazione la cautela non è mai troppa, ma ora potremmo essere di fronte all’ennesima inversione di tendenza. Per anni infatti, mangiare abitualmente uova di gallina non è stato considerato un tipo di alimentazione sano, a causa dei livelli elevati di colesterolo presenti in questo alimento.
Ora però, i ricercatori si stanno allontanando da questa osservazione. Infatti, i ricercatori del Population Research Institute (PHRI) della McMaster University e dell’Hamilton Health Sciences hanno analizzato i dati di tre studi e non hanno riscontrato alcun danno evidente dovuto al consumo di uova. Mahshid Dehghan, autore principale dello studio e ricercatore presso il PHRI, ha osservato che la maggior parte delle persone osservate nello studio non ha mostrato alcun tipo di controindicazione nel consumo abituale di uova, nella quantità di almeno un uovo al giorno; gli scienziati considerano quindi quest’abitudine sicura per la salute, o quantomeno non dannosa.
Nonostante l’elevato contenuto di colesterolo, il consumo giornaliero di uova non è collegabile ad alcun tipo di malattia cardiovascolare
“L’assunzione moderata di uova, che riteniamo pari a circa un uovo al giorno, nella maggior parte delle persone non ha fatto registrare nessun aumento del rischio di malattie cardiovascolari, nonostante molti pazienti abbiamo fatto registrare una storia di malattie cardiovascolari o di diabete“, ha detto Dehghan. “Inoltre, non è stato trovato alcun collegamento tra l’assunzione di uova e aumento del colesterolo nel sangue. Questi risultati sono affidabili e ampiamente applicabili sia agli individui sani che a quelli con malattie vascolari“.
Gli studi considerati nella ricerca in questione includevano dati sul consumo di uova in 146.011 persone provenienti da 21 paesi e in 31.544 pazienti con una storia clinica con malattie cardiovascolari. Queste ultime inoltre, includevano popolazioni provenienti da 50 paesi in sei continenti e con diversi livelli di reddito. La ricerca è stata pubblicata sul The American Journal of Clinical Nutrition.