Nonostante vi siano ancora molte domande sul coronavirus Sars-Cov2, pochi ma importanti aspetti sembrano invece ormai acclarati. Innanzitutto, sappiamo con certezza che il principale mezzo di trasmissione del coronavirus sono i famigerati droplets, le goccioline di saliva che normalmente emettiamo quando parliamo, quando tossiamo e dopo uno starnuto. Queste sono però piuttosto grandi, misurando all’incirca 10 micron, motivo per cui una volta emesse tendono a cadere al suolo per via della forza di gravità: è proprio in virtù di ciò che risulta determinante mantenere il distanziamento fisico.
Fortunatamente, negli spazi aperti questo metodo di trasmissione risulta molto meno incisivo, dal momento che le particelle virali tendono a disperdersi velocemente, riducendo considerevolmente la carica virale. Il problema nasce quando tali particelle si accumulano nei luoghi chiusi, in cui c’è poco ricambio d’aria; un esempio è proprio quanto accaduto il 10 marzo a Mount Vernon, cittadina dello Stato di Washington, in cui il coro di una chiesa è diventato uno spaventoso focolaio quando un solo individuo infetto è riuscito ad infettare 53 persone, di cui due sono decedute.
Queste evidenze hanno quindi spinto alcuni esperti a stendere una petizione diretta all’Organizzazione Mondiale della Sanità con la quale si chiede l’inserimento della “trasmissione aerea” tra le principali vie di contagio del nuovo coronavirus. Infatti, l’OMS ha finora considerato questo metodo di trasmissione come solo eventuale e comunque non scientificamente dimostrato, sottolineando più che altro la necessità di un attento lavaggio delle mani. Secondo molti esperti, invece, ciò non sarebbe sufficiente a dare contezza del reale pericolo che il coronavirus costituisce per la salute pubblica.
In particolare, Giorgio Buonanno e Lidia Morawska della Queensland University of Technology di Brisbane, in Australia, ritengono che debba essere affrontata anche la questione del livello di protezione effettivamente garantito dalle mascherine. Esse assicurerebbero una protezione solo parziale. Potrebbe essere inoltre importante raccomandare un frequente ricambio d’aria nei locali chiusi, attraverso sistemi di ventilazione appositi, oppure con la previsione di regole relative ad un tempo massimo di permanenza delle persone in un determinato ambiente. Si tratta quindi di raccomandazioni pratiche che potrebbero però fare la differenza, potendo rappresentare soluzioni decisive anche nell’ottica della riapertura delle scuole, evitando misure drastiche e impopolari come l’utilizzo di separatori in plexiglas oppure le aule dimezzate.
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