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Coronavirus: nel mondo circolano almeno tre ceppi virali differenti

Gli scienziati dell’Università di Cambridge hanno ricostruito le mutazioni genetiche del nuovo coronavirus per osservare in che modo la malattia COVID-19 si è diffusa così rapidamente in tutto il mondo. La loro ricerca ha individuato tre rami dell’albero genealogico di SARS-CoV-2, il coronavirus responsabile dell’infezione respiratoria che ormai si distingue nelle sottospecie A, B e C.

 

I tipi di coronavirus osservati in diverse parti del mondo si distinguono in almeno tre sottotipi

Il tipo A è il “genoma virale umano originale” ed è il tipo di coronavirus più vicino a quello osservato in pipistrelli e pangolini, due specie sospettate di aver avuto un ruolo determinante nella trasmissione del SARS-CoV-2 dagli animali all’uomo. Sembra che A sia infatti approdato tra la popolazione umana nella città cinese di Wuhan, nella provincia di Hubei, anche se in realtà non era questo il tipo di virus predominante nella zona.

Il ceppo A ha infatti dato origine al ceppo B, prevalente nei pazienti di Wuhan, così come in gran parte della Cina e dell’Asia orientale. Il tipo B è quindi mutato nel tipo C, variante invece osservata in gran parte dell’Europa, in particolare tra i primi pazienti di Francia, Italia, Svezia e Regno Unito. La Cina continentale non sembra aver fatto registrare casi di infezione riconducibili a questa variante, sebbene essa sia stata trovata anche a Singapore, Hong Kong, Corea del Sud e in altre zone dell’Asia orientale.

 

La situazione potrebbe però essere ancora in rapido divenire

Osservando le diverse mutazioni riscontrate all’interno dei genomi virali, i ricercatori hanno creato una “mappa” dei diversi ceppi trovati in tutto il mondo. “L’analisi della rete filogenetica ha il potenziale per aiutare a identificare fonti di infezione COVID-19 non ancora documentate, che possono quindi essere messe sotto osservazione per contenere un’ulteriore diffusione della malattia in tutto il mondo“, ha affermato il genetista Peter Forster, autore principale dello studio condotto a Cambridge. “La rete virale che abbiamo descritto è un’istantanea delle prime fasi di un’epidemia, prima che i percorsi evolutivi di COVID-19 siano stati oscurati da un gran numero di mutazioni“, ha aggiunto Forster.

All’appello, però, sembrano mancare gli Stati Uniti; come mai? I ricercatori mostrano che un gran numero di casi riconducibili ai virus di tipo A e B sono stati osservati in pazienti negli Stati Uniti, mentre molto pochi erano riconducibili al virus di tipo C. Ciò suggerisce che la maggior parte dei casi negli Stati Uniti potrebbe avere avuto un collegamento diretto con i tipi virali presenti in Cina e in Asia orientale. Tuttavia, altri studi hanno fornito una rappresentazione diversa: nuovo studio suggerisce che i tipi di coronavirus presenti a New York City, ad oggi la zona più colpita al mondo, potrebbero essere riconducibili a viaggiatori provenienti dall’Europa, non dalla Cina.

Nello Giuliano

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