La pandemia di Covid-19 ha sicuramente cambiato radicalmente le nostre vite e le società di tutto il mondo. Sono milioni le persone infette, ma non bisogna pensare che chi è stato ammalato in passato non possa essere ricolpito dal coronavirus, che sembra riuscire a sbaragliare anche gli anticorpi. È l’ipotesi avanzata da una ricerca italiana pubblicata sulla rivista BMJ Global Health secondo cui l’immunità acquisita non solo potrebbe non essere protettiva, ma potrebbe addirittura portare, in caso di nuova infezione, a sintomi ancor peggiori.
Le re-infezioni di Covid-19
Nonostante i numerosi studi, ancora non è emerso un vero e proprio vaccino che fornisca gli anticorpi necessari ad evitare il contagio, così come non è stato scoperto se essere stati infettati in precedenza assicuri nessun pericolo dal nuovo coronavirus Covid-19. Alcuni studi, come appunto quello italiano recentemente pubblicato sulla rivista scientifica BMJ, mette in evidenza come non esista l’immunità permanente, ma anzi è facile subire un effetto boomerang, un ritorno dell’infezione anche più aggressiva.
“Abbiamo preso spunto per questa ricerca osservando l’andamento della malattia, in particolare l’elevata trasmissibilità e il tasso di casi severi in generale tra gli operatori sanitari anche giovani sia in Italia che in Cina, come dimostra il caso del medico cinese trentenne di Wuhan, deceduto e da cui tutto è partito”, spiega Luca Cegolon, medico epidemiologo presso l’Ausl 2 di Marca Trevigiana di Treviso. “Anche il basso rischio di Covid-19 severo fra i bambini con meno di 10 anni ha portato i ricercatori a fare delle riflessioni. I bambini hanno inevitabilmente meno anticorpi degli adulti e degli anziani, essendo stati meno esposti ad agenti infettivi nel corso della loro breve vita e questo potrebbe spiegare perché sono più protetti”, osserva Cegolon.