La pandemia di COVID-19 continua ad essere inesorabile e, poiché i governi di tutto il mondo adottano misure più rigorose per contenerla, uno studio di ricercatori americani giunge a nuove conclusioni sulla diffusione della malattia.
I ricercatori della Stanford University, della Chicago Northwestern University e del Cambridge Research Center di Microsoft, in uno sforzo congiunto, hanno utilizzato dati anonimi da 98 milioni di telefoni cellulari nelle aree metropolitane delle 10 più grandi città americane (Atlanta, Chicago, Dallas, Houston, Los Angeles, Miami, New York, Philadelphia, San Francisco e Washington DC), raccolti tra marzo e maggio.
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature, il livello di contagio è maggiore negli spazi chiusi, come ristoranti, bar, caffetterie, supermercati o palestre, visti come punti di interesse. Gli scienziati affermano che gli spazi in questione rientrano nel 10% dei siti che provocano circa l’80% delle infezioni.
Inoltre, il rischio di contagio è maggiore nelle comunità più vulnerabili e socioeconomicamente svantaggiate, poiché non hanno potuto ridurre così tanto la loro mobilità. Ad esempio, perché svolgono funzioni incompatibili con il telelavoro, e perché i punti di interesse sembrano essere più piccoli e pieni.
È vero che l’apertura totale di tutte le attività può portare ad un aumento esponenziale del tasso di contagio, ma i ricercatori indicano che la riduzione totale della mobilità delle persone risulta non essere efficace quanto la limitazione della capacità massima nei punti di interesse.
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