Depressione stagionale: trovata una possibile spiegazione per questo fenomeno

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Il nostro cervello per certi versi è un mistero e per altri no. A grandi linee sappiamo come funziona, sappiamo a cosa sono adibite certe sezioni, ma certi fenomeni risultano ancora poco comprensibili. Uno di questi è proprio la cosiddetta depressione stagionale e il solstizio d’inverno è proprio uno di quei giorni in cui può scattare in una persona tale ondata di tristezza e senso di vuoto.

Due recenti studi scientifici hanno provato dare una spiegazione a tutto questo e apparentemente il colpevole di tutto è un circuito cerebrale. Questo circuito, formato ovviamente da neuroni, ma anche da cellule specializzate sensibili alla luce presenti nella nostra retina che insieme influenzano delle determinate aree del cervello adibite alle emozioni.

 

Questione di neuroni e recettori

Ecco una dichiarazione di Jerome Sanes, un professore di neuroscienza alla Brown University: “È molto probabile che le cose come il disturbo affettivo stagionale coinvolgano questo percorso.” Un altro ricercatore, Samer Hattar: “Ora hai un circuito che sai che il tuo occhio sta influenzando il tuo cervello per influenzare l’umore. È l’ultimo pezzo del puzzle.

Il punto focale sono i recettori presente nei nostri occhi. Finora si pensava che fossero solamente due ovvero i coni e bastoncelli, ma questo studio è finito per scoprirne un terzo chiamato ipRGC. Quest’ultimo contiene un terzo tipo di fotorecettore al cui interno è presente una sostanza sensibile chiamata melanopsina.

A differenza dei due più conosciuti quest’ultimo non serve al sistema visivo, ma aiuta il cervello a sincronizzarsi con il ritmo circadiano. Sapendo questo l’ipotesi della depressione stagionale deriva da un cambiamento di produzione di serotonina, la sostanza che influenza l’umore, o anche la melatonina.

Un esperimento con i topi ha mostrato proprio che il comportamento dei topi cambiava a seconda dell’esposizione a diverse intensità di luce. Negli esserei umani è stato fatto circa lo stesso con in più l’analisi tramite risonanza magnetica e si è visto come alcune aree lavoravano in modo diverso.

Questi studi devono ancora essere approfonditi, ma la scoperta di un nuovo fotorecettore è già di per sé una scoperta importante.

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