In un recente studio, gli scienziati hanno individuato dove la nostra mente consapevole risiede nel nostro cervello e quali sono le reti neuronali coinvolte nel pensiero cosciente. Per secoli gli scienziati sono stati affascinati dalla ricerca del meccanismo alla base della coscienza, della capacità di percepire e di essere consapevoli del mondo attorno a noi. Fino ad oggi si sono però trovati nell’incapacità di definire che cosa nel nostro cervello ci renda coscienti e consapevoli. Ma questa nuova ricerca getta una nuova luce su questo aspetto del nostro cervello, identificando in quale zona risiede la nostra mente e la nostra coscienza.
Questo studio potrebbe rivelarsi molto importante, sopratutto perché potrebbe permettere di determinare se un paziente è cosciente dopo una grave lesione cerebrale.
I dettagli della ricerca per individuare le aree della coscienza
Lo studio è stato condotto senza fare affidamento su report autonomi delle persone coinvolte nella ricerca o sulla necessità di chiedere ai pazienti di impegnarsi in una qualche attività.
I ricercatori hanno analizzato tre diversi gruppi di persone, un gruppo di persone in stato vegetativo, un gruppo di persone con coscienza ridotta e il terzo gruppo di individui sani.
Secondo quanto riportato da Davina Fernández-Espejo, docente della School of Psicology for Human Brain Health dell’Università di Birmingham, quello che i ricercatori hanno trovato sono due diversi modelli di comunicazione tra le regioni del cervello. Nello specifico, si tratta di comunicazioni tra coppie di regioni che hanno un collegamento fisico tra di loro.
Come ha affermato la dottoressa Fernández-Espejo, “si tratta di interazioni dinamiche a livello cerebrale molto complesse, che avvengono in un insieme di 42 regioni del cervello appartenenti a sei reti cerebrali, tutte con ruoli importanti nella cognizione. Questo schema complesso era presente quasi esclusivamente nelle persone con un certo livello di coscienza, ed è scomparso solo quando i pazienti erano in anestesia profonda, confermando che le nostre indagini erano davvero sensibili solo al livello di coscienza dei pazienti e non al loro condizione cerebrale generale o alla reattività esterna”.