L’ultimo milione di anni di storia della Terra sono stati caratterizzati da frequenti “cicli glaciali-interglaciali”, innescati da sottili oscillazioni nell’orbita e nella rotazione terrestre. Ma le oscillazioni orbitali non sono sufficienti a spiegare alcuni estremi cambiamenti climatici, come le grandi ere glaciali.
Daniel Sigman professore di scienze geologiche e geofisiche a Dusenbury, ritiene che “la causa delle ere glaciali è uno dei grandi problemi irrisolti nelle geoscienze. Spiegare questo fenomeno climatico dominante migliorerà la nostra capacità di prevedere i futuri cambiamenti climatici”.
Già dagli anni ’70, sappiamo che la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera era di circa il 30% inferiore durante le ere glaciali. Ciò ha suggerito teorie secondo cui la diminuzione dei livelli di CO2 atmosferica, sia stato un ingrediente chiave nei cicli glaciali. Ma che cosa abbiamo provocato queste oscillazioni nella concentrazione di anidride carbonica atmosferica, rimane ancora un mistero.
Ma a risolvere l’enigma, potrebbe essere il nuovo studio internazionale della Princeton University e dell’Istituto Max Planck per la Chimica (MPIC). I ricercatori che hanno condotto questa ricerca, avrebbero infatti le prove che indicano che durante le ere glaciali, i cambiamenti nelle acque superficiali dell’Oceano Antartico avrebbero contribuito a far immagazzinare più CO2 nei fondali oceanici.
Analizzando i sedimenti dell’Oceano Antartico, i ricercatori hanno effettuato misurazioni dettagliate della composizione chimica della materia organica intrappolata nei fossili di diatomee. Queste alghe galleggianti sono anticamente vissute in superficie sugli oceani, poi una volta morte sono affondate depositandosi sui fondali.
Da decenni i ricercatori sanno che la crescita e l’affondamento delle alghe marine pompa CO2 in profondità nell’oceano, un processo spesso definito “pompa biologica”. Questo meccanismo è azionato principalmente dagli oceani tropicali, subtropicali e temperati ed è inefficiente in prossimità dei poli. Qui infatti la CO2 viene scaricata nell’atmosfera dalla rapida esposizione delle acque profonde alla superficie. Ciò avviene maggiormente nell’Oceano Antartico dove i forti venti orientali che circondano il continente antartico spingono in superficie acque profonde ricche di CO2, disperdendola nell’atmosfera.
I ricercatori ipotizzano che una riduzione nei venti antartici, potrebbe aver rallentato questo processo di risalita dell’anidride carbonica, mantenendola più a lungo sui fondali oceanici. Questo potrebbe spiegare l’abbassamento di CO2 atmosferica delle ere glaciali.
I ricercatori della collaborazione Princeton-MPIC hanno analizzato minuscole diatomee per cercare di provare questa teoria. Le diatomee sono alghe galleggianti che crescono in abbondanza nelle acque superficiali dell’Antartide e i loro gusci di silice si accumulano nei sedimenti marini profondi.
Gli isotopi dell’azoto nei gusci delle diatomee variano con la quantità di azoto inutilizzato nell’acqua in superficie. Il team ha misurato i rapporti degli isotopi dell’azoto della materia organica intrappolata nei fossili di diatomee, estrapolando così l’evoluzione delle concentrazioni di azoto nelle acque superficiali dell’Antartide negli ultimi 150.000 anni. Un periodo che copre due ere glaciali e due periodi interglaciali caldi .
Ellen Ai, prima autrice dello studio, laureata di Princeton, afferma che “l’analisi degli isotopi dell’azoto intrappolati nei fossili come le diatomee rivela la concentrazione di azoto superficiale in passato. Le acque profonde hanno alte concentrazioni di azoto su cui fanno affidamento le alghe. Più si verifica il fenomeno di risalita delle acque in Antartide, maggiore è la concentrazione di azoto nell’acqua di superficie. Quindi i nostri risultati ci hanno anche permesso di ricostruire i cambiamenti di risalita delle acque in Antartide”.
Grazie alle accurate datazioni dei sedimenti inoltre, i ricercatori hanno potuto “collegare molte caratteristiche delle misurazioni dell’azoto di diatomee a cambiamenti climatici e oceanici coincidenti in tutto il mondo. In particolare, ora siamo in grado di definire i tempi del declino della risalita delle acque, quando il clima inizia a raffreddarsi, nonché di collegare i cambiamenti della risalita in Antartide con le rapide oscillazioni climatiche durante le ere glaciali”, come ha spiegato Martínez-García, del MPIC.
Ph. Credit: Michael Kloster, Alfred-Wegener-Institute.
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