Potremmo definirlo il “tumore silenzioso“: si insinua senza che uno abbia un sintomo apparente e non perdona. Nel giro di qualche mese (dai 6 ai 12) decreta l’inesorabile e spietato bollettino. Chi ha avuto cari e conoscenti colpiti da questo male ha tentato il tutto e per tutto, consapevole di stare lottando contro qualcosa di più forte. E di cui ancora non se ne conosce la “chiave” per una sua possibile conoscenza, spiegazione plausibile.
Stiamo parlando del glioblastoma, meglio conosciuto come tumore al cervello, incurabile, spietato, subdolo. E non a caso “chiave” è il termine usato dagli scienziati per riferirsi ad una possibile lettura delle sue dinamiche.
Una “cassaforte senza chiave” per molto tempo, infatti, lo ha definito il gruppo di Chiara Maria Mazzanti, ricercatrice a capo del Laboratorio di Genomica e Trascrittomica della Fondazione Pisana per la Scienza. Incurabile e aggressivo, ancora oggi appare un mistero disarmante. E quello che il team italiano ha fatto è stato replicarlo in vitro e crescerlo, come una pianta malefica, e studiarne le reazioni, i comportamenti ai farmaci somministrati.
Una “cassaforte senza chiave”
Lo studio fa parte del progetto “Optical metabolic imaging of glioblastoma patient derived organoids to assess treatment response and disease progression”, finanziato dalla Fondazione Pisana per la Scienza. “Il glioblastoma è fra i più aggressivi e letali dei tumori umani ha ancora un tasso di mortalità del 100%. Oltre alla rimozione chirurgica, il trattamento consiste in chemioterapia a base di temozolomide (scoperto negli anni ’70 e approvato nel 2005) associata a radioterapia; ma il tumore si ripresenta o progredisce e la sopravvivenza mediana è di 14,6 mesi“, spiega Chiara Maria Mazzanti.
E aggiunge: “Per la prima volta, siamo entrati nel glioblastoma partendo da una biopsia umana, e abbiamo fatto crescere in vitro il tumore per osservarlo mentre si sviluppa e comprenderne i meccanismi. Siamo riusciti a creare un modello che ci permetterà di studiare il modo in cui questo tumore risponde ai farmaci. Grazie all’utilizzo di potenti microscopi acquistati dalla Fondazione Pisana per la Scienza, possiamo testare il tumore con diverse terapie. L’obiettivo è che ogni paziente affetto da questo male possa avere il proprio tumore replicato in vitro in modo che possa essere testato con farmaci per trovare una terapia misurata e personalizzata“.
Una replica, dunque, per valutarne le reazione “fuori” dal corpo sul quale il male infierisce. E valutarne i comportamenti per determinare le possibili associazioni con altri casi, altri pazienti e trovare la giusta alchimia per combattere un mostro silenzioso che spegne la macchina. Il cervello.