Guardando l’immagine della galassia NGC 2273, scattata dal telescopio spaziale Hubble, gestito da ESA e NASA, si potrebbe pensare di osservare una normalissima galassia a spirale, con i suoi due bracci che emergono dal corpo ventrale composto da stelle e materiale cosmico. Ma in questa immagine c’è molto di più. Quella che a prima vista sembra una normale galassia, mostra al suo interno due anelli, come se ci fossero delle spirali all’interno della spirale galattica.
L’affascinante struttura galattica multiring: un effetto ottico cosmico immortalato da Hubble
Si tratta di una struttura nota come multiring, in cui una galassia a spirale ha un anello interno e due pseudorings esterni. Il poter notare così distintamente gli anelli all’interno della galassia, rende NGC 2273 un oggetto insolito e affascinante. Questi pseudorings si creano quando le braccia della galassia girano attorno a loro stessi, avvicinandosi l’uno all’altro in un gioco di prospettiva… cosmica!
Gli pseudorings osservati da Hubble in questa galassia, sono costituiti da due porzioni vorticose dei bracci della spirale che sembrano unirsi. L’anello interno è invece formato da due strutture ad arco che si trovano nei pressi del centro galattico e che sembrano anch’esse collegate.
Una galassia di Seygert: un mostruoso buco nero nel cuore
Ma questa non è l’unica caratteristica che rende NGC 2273 un oggetto straordinario. Si tratta infatti anche di una galassia di Seygert, ovvero una galassia con un nucleo estremamente luminoso. Questo perché al suo interno si trova un buco nero supermassiccio talmente che brilla in modo così intenso da essere perfettamente in grado da superare in luminosità l’intera Via lattea.
Una galassia davvero speciale dunque questa NGC 2273 situata nella costellazione della Lince, ad una distanza di circa 95 milioni di anni luce dalla Terra. La sua distanza, date le sue dimensioni apparenti, implica che la galassia ha un diametro di circa 100.000 anni luce. Fu scoperto da Nils Dunér il 15 settembre 1867.
Immagine: Credito: ESA / Hubble e NASA, J. Greene