I neuroni bionici possono aiutare a riparare i circuiti cerebrali difettosi

Gli scienziati hanno scoperto un modo per riparare i circuiti cerebrali difettosi, grazie all'utilizzo di neuroni artificiali

Il cervello è l’organo più importante e complesso del nostro organismo. E’ deputato a svolgere le principali funzioni vitali, e perciò ha una struttura molto complessa, con tantissimi neuroni che si collegano ed inviano formazioni tra di loro. Possono esserci casi di parti di circuiti cerebrali difettosi, sin dalla nascita o durante la vita a causa delle malattie neurodegenerative, come per esempio il morbo di Parkinson.

Ma, riguardo a ciò, un gruppo di scienziati ha creato dei neuroni artificiali che potrebbero essere potenzialmente impiantati nei pazienti per superare la paralisi, ripristinare i circuiti cerebrali difettosi e persino collegare le loro menti alle macchine.

 

L’uso dei neuroni artificiali contro i difetti neurali

I neuroni bionici possono ricevere segnali elettrici da cellule nervose sane, ed elaborarli in modo naturale, prima di inviare nuovi segnali ad altri neuroni o ai muscoli e agli organi in altre parti del corpo. Una delle prime applicazioni potrebbe essere un trattamento per una forma di insufficienza cardiaca che si sviluppa quando un particolare circuito neurale alla base del cervello si deteriora con l’età o la malattia e non riesce a inviare i segnali giusti per far funzionare correttamente il cuore.

I neuroni artificiali non si impiantano direttamente nel cervello, bensì sono integrati in microchip a bassissima potenza di pochi millimetri di larghezza. Essi poi formano la base per dispositivi che si collegano direttamente al sistema nervoso, ad esempio intercettando i segnali che passano tra il cervello e i muscoli delle gambe.

“Qualsiasi area in cui hai qualche malattia degenerativa, come l’Alzheimer, o in cui i neuroni smettono di sparare correttamente a causa dell’età, della malattia o di un infortunio, in teoria potresti sostituire il difettoso biocircuito con un circuito sintetico”, ha affermato Alain Nogaret, un fisico che ha guidato il progetto all’Università di Bath.

Ovviamente, tutto ciò è ancora in test e serviranno numerosi altri esperimenti e studi più approfonditi per poi poterlo effettivamente applicare a persone con malattie neurodegenerative.