Il caos del Sistema solare ha lasciato importanti impronte sulla Terra. Analizzando antichissimi sedimenti lacustri è stato possibile ricostruire i movimenti dei pianeti del nostro Sistema Solare degli ultimi 200 milioni di anni e il loro impatto sul clima. A sperimentare questo modello di “planetario di pietra” è stato uno studio di un gruppo internazionale di ricerca guidato dal geologo Paul Olsen della Columbia University con la partecipazione di Jacques Laskar, astronomo dell’Osservatorio di Parigi tra i maggiori esperti al mondo di meccanica celeste.
L’ipotesi più attendibile, che da molto tempo si cercava di dimostrare, è che le variazioni periodiche del clima possano essere relazionate a cambiamenti ciclici del flusso radiante della radiazione elettromagnetica emessa dal Sole in tutto lo spettro di frequenze che colpisce Terra.
A causarle sarebbero cambiamenti della rotazione terrestre, dell’eccentricità dell’orbita e del suo orientamento verso il Sole, tutti movimenti lentissimi dovuti alla perturbazione generata dagli altri pianeti del Sistema solare. Finora i ricercatori erano riusciti a ricostruire i moti relativi dei pianeti e il loro impatto sul clima risalendo fino a 60 milioni di anni fa. Un solo attimo rispetto ai 4,5 miliardi di anni della Terra.
A spalancare ancora di più questa finestra temporale sono ora degli antichissimi sedimenti lacustri prelevati in Arizona e New Jersey. Veri e propri metronomi geologici, scandiscono la periodicità di queste variazioni del passato permettendo di estrapolare i cambiamenti avvenuti nel lungo periodo nelle orbite di Giove, Mercurio, Venere e Marte i corpi celesti che influiscono maggiormente sull’orbita terrestre.
“Poter ricostruire la situazione orbitale fino a 200 milioni di anni fa ci permette di capire meglio la storia del Sistema solare”, spiega Giovanni Valsecchi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). “Si tratta di una scala temporale su cui avvengono molti fenomeni, ad esempio il Sole completa un giro della galassia: sarà sicuramente di grande stimolo per nuove ricerche che ancora non immaginiamo”.
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