Il vortice polari ed il freddo estremo che si sono abbattuti sugli Stati Uniti la scorsa settimana sono stati indicati dai negazionisti dei cambiamenti climatici, come un indice del fatto che non ci sia nessun riscaldamento globale.
Eppure, alcune recenti ricerche scientifiche mostrano che quest’ondata di freddo improvvisa sia correlata proprio con il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci nell’Artico. Ed ecco alcune cose di cui hanno tenuto conto gli scienziati per dimostrare il reale problema del cambiamento climatico.
La zona artica si sta riscaldando due volte più velocemente del resto del Pianeta. Le temperature Artiche più alte, indeboliscono la corrente a getto polare. Questa corrente a getto, se è sufficientemente forte, intrappola il vortice polare sopra il Polo Nord. Ma se è indebolita l’aria gelida dell’Artico si sposta verso Sud. Come è successo la scorsa settimana, quando il vortice polare si è spostato sopra gli USA.
Attualmente i ricercatori hanno indirizzato le loro ricerche sulle conseguenze che ci potrebbero essere se l’Artico si avvicinasse o raggiungesse le temperature delle latitudine medie. Lo scorso anno i ricercatori hanno fatto importanti scoperte in questo senso.
Gli scienziati hanno individuato una stretta correlazione tra un Artico più caldo e la frequenza dei cambiamenti del clima invernale negli USA. In un recente studio pubblicato su Nature Communications, i ricercatori hanno analizzato, non pochi mesi od un anno di dati sul clima, ma sono partiti dall’analisi dei dati risalenti al 1950. Dall’analisi di questi dati hanno rilevato una forte relazione tra temperature artiche calde ed un clima invernale molto rigido specialmente ad est delle Montagne Rocciose ed in particolare negli Stati Uniti orientali.
Secondo gli studi questa correlazione non riguarda solo gli USA. I ricercatori hanno infatti scoperto che, a seguito dello scioglimento e della perdita di ghiacci nel mare di Barents-Kara alla fine dell’autunno, si sono registrati inverni più freddi e più frequenti incursioni di aria fredda in Siberia.
Inoltre, negli ultimi 37 anni, si sono verificati sempre più spesso, episodi in cui i vortici polari indeboliti dalle alte temperature artiche, abbiano provocato inverni più freddi nelle latitudini medie del continente euroasiatico.
Il riscaldamento artico e la perdita di ghiaccio sul mare sono strettamente legati al blocco delle condizioni meteorologiche nel Nord America. Quando infatti gli schemi del vento vengono alterati, si prolungano i periodi di siccità e si verificano ondate di freddo e di caldo.
Le temperature polari, registrate negli Stati Uniti, si sono verificate comunque sullo sfondo di un riscaldamento globale in costante aumento. Sappiamo bene che gli ultimi quattro anni hanno fatto registrare le temperature più alte mai registrate. E questa tendenza sembra portata a continuare, se non addirittura ad accelerare.
Saranno necessari ulteriori studi per provare in maniera definitiva che il riscaldamento dell’artico sia un effetto del cambiamento climatico. Inoltre si dovrà valutare se il verificarsi di altri cambiamenti climatici, come un riscaldamento dell’alta atmosfera sopra i tropici, possa controbilanciare gli effetti che si hanno sulle medie latitudini.
La National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) ha pubblicato la Arctic Report Card, in cui è riportato che il modo in cui l’Artico che si sta rapidamente surriscaldando e sciogliendo influenza le condizioni meteorologiche estreme. Secondo la NOAA, “questo occuperà gli scienziati per anni a venire”. Sperando di avere ancora abbastanza tempo per conoscere e capire come intervenire.
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