Un retaggio del paese è nominare la Cina quando si parla di inquinamento ambientale. Il capro espiatorio di tutti quanti quando in realtà è uno dei paesi che più si è impegnato negli anni per migliorare la situazione. Un’altra prova di questi sforzi è il recente resoconto sull’inquinamento dell’acqua superficiale presente sul vasto territorio cinese. Un miglioramento significativo frutto degli sforzi iniziati nel 2001.
Lo studio che si preoccupato di analizzare la situazione si è concentrato sulla risposta relativo all’inquinamento antropogenico. I parametri principali presi in considerazione, i due più importanti ovviamente, è la domanda chimica di ossigeno e la domanda di azoto ammonico. Entrambi questi valori sono diminuiti rispettivamente del 63% e del 78%. Questa diminuzione si è registrata nell’arco di quattordici anni, dal 2003 al 2017.
I valori migliori sono stati registrati nei bacini idrici del nord i sui tassi di declino presentavano valori sorprendenti. Per quanto riguarda i bacini del sud, i valori sono diminuiti, ma non eccessivamente. Questa disparità è presto spiegata dalla mappa demografica della Cina. Al sud è concentrata la maggior parte della popolazione e questo, per forza di cosa, implica una maggiore presenza di inquinamento.
Secondo le previsioni e basandosi dagli attuali tassi di miglioramento, nel prossimo decennio la qualità dell’acqua superficiale della Cina potrebbe raggiungere uno stato ecologico ottimale. Tutto merito degli sforzi impiegati dal governo centrale che ha saputo cogliere le sfide del nuovo millennio. Sicuramente avranno anche visto che a livello economico, sul lungo termine, è una strategia che ripaga di più di un inquinamento selvaggio.
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