L’arte è sempre stata uno specchio della società, una cartina tornasole rivelatrice delle tendenze socio-politico-culturali delle epoche in cui veniva prodotta. In questa di epoca, Jeff Koons ha prodotto “Rabbit”, un coniglio gonfiabile di acciaio inox che nei giorni scorsi è stato battuto da Christie’s per una cifra esorbitante.
Paroloni a parte qui parleremo di “fuffa” che per chi non conoscesse il termine, è la lanugine che si forma nei tessuti, un eccesso inutile per definizione, che spesso va rimosso. Un neologismo che spesso viene usato appunto per definire disquisizioni futili e spesso noiose, o meglio “questioni di lana caprina”. Lana certamente di pochissimo valore. Ma non parleremo né di peli, né di capre, bensì di conigli assolutamente glabri e pure piuttosto lucenti.
Si tratta di tre conigli di acciaio inox, alti 91 centimetri, che all’apparenza sembrano quei palloncini che si trovano alle fiere, non quelli di consistenza gommosa, ma quelli lucidi che sembrano fatti di Domopak alluminio, in sgargianti colori metallizzati.
Di questi tre “Rabbit” che è il nome delle opere, ne è stato recentemente messo all’asta da Christie’s un esemplare, che venduto all’incanto per la “ridicola” cifra di 91,1 milioni di dollari, è l’opera d’arte di un artista vivente più costosa della storia.
L’artista in questione è Jeff Koons, uno statunitense classe 1955 definito l’erede di Andy Warhol, ma noto da noi per essere stato sposato (un anno) con Ilona Staller, meglio conosciuta come Cicciolina.
Le opere di Koons sono lo specchio della banalità e degli eccessi dei gusti consumistici americani, capolavori kitsch che starebbero benissimo al centro di un patio dove sono parcheggiate Ferrari rosa shocking con interni leopardati.
Ma non ci accodiamo alle chiacchiere da bar “virtuale” o meno, a quei commenti non richiesti e di cui ne facciamo benissimo a meno tanto quanto un animale “d’acciaio gonfiabile” senza occhi né naso; proviamo a trovarci un qualche significato.
La critica l’ha definita un’opera carica di significati e contraddizioni, proprio come l’epoca in cui viviamo, e quindi rieccoci all’arte specchio dei tempi. Quasi un personaggio disneyano o una lepre marzolina venuta dallo spazio per farsi inseguire da un’Alice nel Paese delle Metanfetamine. Io la vedo come un ossimoro in scultura: pesante e resistente come l’acciaio, ma leggero e fragile come un palloncino …certamente più elegante dell’orinatoio di Marcel Duchamp.
Ma l’opera stessa e tutto il tam-tam generatosi intorno, in definitiva mi fanno pensare a quella “fuffa” di cui sopra, a quei batuffolini che ci troviamo nell’ombelico, quando assonnatamente ci spogliamo davanti allo specchio per metterci il pigiama.
E l’arte a volte è proprio questo: spesso rappresenta qualcosa di importante, ideali profondi, ma qualche volta non significa un bel niente; forse un’idea o un pensiero inconsistente, di quelli che si fanno quando si è in ascensore o in fila alla posta, quando siamo annoiati e distratti, ma non troppo perché prima o poi tocca a noi.
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