Un nuovo studio rivela alcuni tratti ecologici sconcertanti nelle regioni più umide della foresta amazzonica, suggerendo che la foresta pluviale potrebbe essere più resistente di quanto pensiamo. In questa ricerca gli scienziati hanno esaminato la relazione tra l’aumento della secchezza dell’aria e la produzione primaria lorda in Amazzonia, ovvero quella quantità totale di carbonio che le piante nella foresta “fissano” o assorbono durante la fotosintesi.
L’intelligenza artificiale analizza la foresta amazzonica
Per realizzare questo studio i ricercatori hanno analizzato dati ricavati da osservazioni in un periodo di 9 anni, tra giugno del 2007 e maggio 2016. Questa mole di dati è stata inserita in un sistema di apprendimento automatico, conosciuto come rete neurale artificiale.
Questi sistemi hanno permesso ai ricercatori di analizzare e confrontare i loro risultati con i modelli esistenti e le simulazioni degli effetti dell’aria secca sulla capacità dell’Amazzonia di agire come un serbatoio di carbonio.
Julia K. Green, autrice principale dello studio e ricercatrice presso il Laboratoire des Sciences du Climat et l’Environnement in Francia, assieme ai suoi colleghi, ha confrontato le previsioni tipiche delle simulazioni della superficie terrestre con ciò che sta realmente accadendo in Amazzonia.
L’effetto dell’aria secca sulle foglie
Secondo Green, le parti più umide della foresta amazzonica vantano alberi con sistemi di radici profonde. Ma i modelli mostrano che la vegetazione in queste aree può essere stressata a causa del “deficit idrico”, causato dall’aria o dal suolo sempre più secchi. Quel deficit idrico può avere un grave impatto sulla fotosintesi.
Come spiega Green “le piante hanno questi piccoli pori sulle foglie chiamati stomi. E quello che finisce per accadere è che per assorbire sostanzialmente l’anidride carbonica, la pianta deve aprire gli stomi sulle loro foglie per consentire l’assorbimento del gas. Ma poiché la pianta prende un po’ di anidride carbonica, perde acqua attraverso la superficie fogliare, perché l’aria è più secca. Di conseguenza più l’aria è secca, più gli stomi diverranno chiusi“ per poter conservare l’acqua.
I ricercatori hanno ipotizzato che la chiusura degli stomi dovuta alla secchezza dell’aria avrebbe ridotto la fotosintesi. E così hanno confermato anche i loro modelli. “Quello che abbiamo osservato nelle simulazioni è che anche in modelli con secchezza moderata, mostrano regioni in cui la fotosintesi della foresta pluviale stava davvero diminuendo”, ha affermato Green.
I modelli non coincidono con le osservazioni nella foresta amazzonica
Ma per essere sicuri che ciò corrispondesse a verità, dovevano osservare se questo si sia effettivamente verificato in natura, e per riuscirci si sono avvalsi dell’intelligenza artificiale e delle reti neurali.
Attraverso l’analisi dei dati con l’AI, Green ha ed il suo team sono giunti ad una scoperta sconcertante, i modelli di simulazione erano sbagliati. Come ha spiegato lei stessa, “quello che abbiamo finito per vedere è che con l’aumentare della secchezza, la fotosintesi in queste aree veramente umide della foresta aumenta“.
Il motivo ha a che fare con la natura della foresta amazzonica stessa. L’Amazzonia ha una chioma forestale molto “dinamica”, che compensa la chiusura degli stomi, aumentando la fotosintesi, contrariamente a quanto si pensasse.
Come Spiega Green, “dopo che l’aria inizia ad asciugarsi, quello che finisce per accadere è che la foresta finisce per perdere molte delle vecchie foglie in cima alla chioma. Le nuove foglie più giovani finiscono per sostituirle. E queste nuove foglie più giovani hanno una capacità fotosintetica molto più elevata rispetto alle foglie che stanno sostituendo”.
Questi risultati suggeriscono che l’Amazzonia ha una sua naturale resilienza durante i normali periodi di aria più secca. Ma questo non significa necessariamente che la foresta amazzonica sia in grado di resistere a eventi meteorologici estremi, come la siccità causata dai cambiamenti climatici.