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Microplastiche, trovate in grande quantità nell’oceano subtropicale del Giappone

Una nuova ricerca ha rivelato la presenza di piccole microplastiche nell’oceano che circonda Okinawa, in Giappone. Lo studio è stato pubblicato su Science of the Total Environment. Okinawa era un luogo interessante per portare avanti questo studio. Una piccola isola subtropicale nel sud del Giappone è circondata da frangenti barriere coralline, il che significa che l’oceano intorno alle spiagge dipende dalle acque superficiali e dal vento. È stata anche considerata una “zona blu”, una regione i cui residenti sono eccezionalmente longevi. Pertanto, i ricercatori hanno ritenuto fondamentale monitorare l’inquinamento degli oceani in quanto potrebbe influire negativamente su questi residenti.

 

Le microplastiche nell’oceano subtropicale del Giappone

Il campionamento è stato effettuato nel settembre 2018. Sei siti sono stati visitati vicino al litorale dell’isola. A Naha, la capitale della Prefettura di Okinawa, sono stati prelevati campioni accanto al porto industriale e all’aeroporto. Naha ha una popolazione stimata di oltre 300.000 abitanti, che rappresenta un quarto della popolazione totale dell’isola. Al contrario, Capo Hedo, all’estremo nord dell’isola, ha una popolazione molto bassa ed è notevolmente meno urbanizzata.

In ogni sito, l’acqua di superficie è stata trascinata per un chilometro, consentendo di filtrare circa 800 litri di acqua e di rimuovere piccole particelle. Queste particelle sono state poi analizzate nel laboratorio dell’OIST. La tecnica delle pinzette ottiche utilizza i laser per trattenere la particella nel liquido, mentre la tecnica micro-Raman ha identificato l’impronta molecolare unica di ciascuna particella. Ciò ha permesso ai ricercatori di vedere esattamente cosa fosse presente, sia che si tratti di materiale organico, tracce di metallo o plastica diversa come il polietilene o il polistirolo.

“Questo metodo è ciò che distingue lo studio da altre ricerche sulle microplastiche marine”, ha affermato il dott. Kotsifaki. “Significava che non dovevamo prima filtrare la plastica, in modo da poter vedere se c’era plastica incorporata nel materiale organico o se c’erano tracce di metalli e la concentrazione della plastica nell’acqua di mare campionata”.

Foto di flockine da Pixabay

Francesco Borea

Studente universitario Appassionato di tecnologia

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