Gli elefanti, pur essendo tra gli animali più grandi e longevi del pianeta, hanno tassi di cancro sorprendentemente bassi. A prima vista è un controsenso: più un organismo è grande, più cellule ha, e quindi maggiori sono le probabilità che una di esse sviluppi mutazioni tumorali. Eppure, solo il 5% degli elefanti muore di cancro, contro un tasso che raggiunge il 25% tra gli esseri umani.
Questo fenomeno è noto come paradosso di Peto, che mette in discussione l’idea che la probabilità di sviluppare il cancro aumenti linearmente con la dimensione e la durata della vita. Alcune specie, come le balene e appunto gli elefanti, sembrano aver sviluppato strategie evolutive per arginare il rischio.
Il superpotere genetico degli elefanti: il gene p53 moltiplicato
Uno dei segreti degli elefanti risiede in un gene: p53, conosciuto anche come “il guardiano del genoma”. Negli esseri umani, questo gene è presente in una sola copia e regola la divisione cellulare, bloccando quella delle cellule con DNA danneggiato. Negli elefanti, invece, le copie sono ben 20, e producono una varietà di proteine p53 con funzioni leggermente diverse.
Questo significa che anche se una di queste proteine viene neutralizzata da un’altra molecola (MDM2, che la inattiva), altre versioni di p53 continuano a svolgere la loro funzione protettiva, impedendo la proliferazione delle cellule tumorali. Un vero e proprio esercito molecolare al servizio della salute cellulare.
Una scoperta che può cambiare la medicina umana
Gli studi sulle varianti di p53 negli elefanti non sono solo affascinanti dal punto di vista evolutivo, ma potenzialmente rivoluzionari per l’oncologia umana. Capire come replicare o stimolare analoghi meccanismi nei pazienti potrebbe aprire la strada a nuove terapie genetiche o farmacologiche per la prevenzione e il trattamento dei tumori.
Nel 2022, un team di ricercatori ha dimostrato che le diverse isoforme di p53 negli elefanti sono in grado di resistere all’inattivazione, agendo anche in condizioni in cui, nell’uomo, le cellule tumorali prosperano. Questo offre una nuova via di ricerca per rafforzare artificialmente il nostro sistema di controllo interno contro le mutazioni.
Spermatozoi al caldo: un’ipotesi evolutiva inaspettata
Un altro studio più recente ha ipotizzato che la moltiplicazione del gene p53 negli elefanti possa essere legata non tanto alla prevenzione del cancro, quanto alla protezione del loro patrimonio genetico riproduttivo. A differenza della maggior parte dei mammiferi, gli elefanti hanno i testicoli interni: questo espone gli spermatozoi a temperature più elevate, aumentando il rischio di danni genetici.
Evolutivamente, dunque, il sistema di difesa basato su p53 potrebbe essersi sviluppato per proteggere lo sperma, con la riduzione dei tumori come effetto secondario. Una teoria affascinante che intreccia genetica, biologia evolutiva e salute pubblica.
Una lezione dalla natura: studiare per proteggere
Gli elefanti non sono solo giganti della savana, ma alleati inconsapevoli nella lotta contro il cancro. Ogni nuova scoperta sul loro codice genetico ci avvicina a terapie più efficaci e meno invasive. Per questo, come ha ricordato il biologo Fritz Vollarth, preservare queste specie non è solo un dovere ecologico, ma anche una chiave per il futuro della medicina.
Studiare la natura, in fondo, è da sempre il nostro modo migliore per capire — e curare — noi stessi.
Foto di Simon Oberthaler da Pixabay