Per diversi anni astronomi e cosmologi hanno teorizzato l’esistenza di un ulteriore pianeta con una massa dieci volte maggiore di quella della Terra, situato nelle regioni più esterne del sistema solare. Questo ipotetico pianeta, soprannominato Pianeta Nove o Planet Nine, potrebbe essere la fonte degli effetti gravitazionali evidenziati dai dati cosmologici esistenti. Questo spiegherebbe gli schemi insoliti nelle orbite degli oggetti transnettuniani, definiti TNO. I TNO sono corpi celesti che orbitano intorno al sole e si trovano oltre Nettuno.
Basandosi su studi condotti negli ultimi anni, due ricercatori della Durham University e dell’Università dell’Illinois a Chicago, hanno recentemente condotto un’indagine esplorando la possibilità che il Pianeta Nove sia un buco nero primordiale. Il loro articolo, pubblicato su Physical Review Letters, ipotizza che le orbite anomale dei TNO e un eccesso di eventi di microlente potrebbero essere spiegati simultaneamente dall’esistenza di una specifica popolazione di corpi astrofisici. Più specificamente, introduce l’idea che Pianeta Nove e il resto di questi corpi possano essere buchi neri primordiali (PBH).
Il lavoro è iniziato dopo aver visto un breve documentario sul Pianeta Nove, così i due ricercatori, Jakub Scholtz e James Unwin, hanno iniziato ad indagare su altri oggetti spaziali che potessero imitare un pianeta. Tra le varie possibilità teorizzate troviamo materia oscura, Bose Stars e buchi neri primordiali.
Pochi mesi dopo aver iniziato a esplorare ipotesi sulla natura del Pianeta Nove, un altro gruppo di ricerca dell’Università di Tokyo ha rianalizzato i dati raccolti come parte dell’esperimento OGLE. OGLE è un progetto di ricerca condotto presso l’Università di Varsavia che ha comportato l’acquisizione di immagini del cielo utilizzando telescopi avanzati per lunghi periodi di tempo.
La rianalisi del set di dati OGLE ha indicato provvisoriamente l’esistenza di una popolazione di PBH con una massa simile a quella che gli astronomi avevano previsto che sarebbe stata la massa del Pianeta Nove. Quando Scholtz e Unwin vennero a conoscenza di queste scoperte provvisorie, iniziarono a considerare specificamente la possibilità che il Pianeta Nove potesse, in effetti, essere un buco nero primordiale.
“I pezzi finali si sono davvero uniti quando ci siamo resi conto che gli aloni di materia oscura che circondano i buchi neri primordiali sarebbero stati un modo per osservare il Pianeta Nove se fosse un buco nero,” Ha detto Scholtz. “In un certo senso, l’obiettivo del nostro studio era davvero quello di trasmettere il messaggio che l’idea di buchi neri primordiali in orbita attorno al sole non è così assurda come potrebbe sembrare, e che forse dovremmo prestare maggiore attenzione”.
L’ipotesi che le orbite insolite dei TNO osservate in dati cosmologici passati potrebbero essere spiegate dall’esistenza di un ulteriore pianeta, è già stata esplorata da diversi ricercatori. Il team dell’Università di Tokyo che ha rianalizzato il set di dati OGLE, d’altra parte, è stato il primo ad introdurre l’idea che l’eccesso di eventi di microlente osservato all’interno dei dati OGLE potrebbe essere la prova dell’esistenza di una popolazione di PBH.
In sostanza, lo studio di Scholtz e Unwin collega queste due ipotesi, suggerendo che il pianeta a lungo teorizzato potrebbe, in effetti, essere un buco nero che appartiene alla popolazione di PBH proposta da Nikura e dai suoi colleghi dell’Università di Tokyo. Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che uno degli scenari precedentemente teorizzati per l’origine del Pianeta Nove è altrettanto probabile se considerato come uno scenario che coinvolge la cattura di un PBH della popolazione evidenziata dal team giapponese.
Il recente articolo di Scholtz e Unwin introduce una nuova, affascinante ipotesi sulla natura di ciò che è stato finora definito Pianeta Nove. Questa ipotesi potrebbe essere ulteriormente esplorata o testata in nuovi studi di ricerca. Inoltre, i due ricercatori hanno iniziato a osservare da vicino le sorgenti di raggi gamma e di raggi X in movimento nel cielo, un argomento che finora è stato in gran parte ignorato, nonostante la grande quantità di dati disponibili che consentirebbe ai ricercatori di studiarli.
“La nostra ricerca futura si concentrerà principalmente sull’esplorazione di vari set di dati esistenti e sulla ricerca di prove di sorgenti in movimento nel cielo”, ha detto Scholtz. “Abbiamo identificato un metodo molto promettente che potrebbe aiutarci a vedere una sorgente in movimento, a patto che rileviamo solo circa 10 fotoni sorgente all’anno con il telescopio FERMI-large area”.
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