Secondo un recente studio, nello sviluppo di modelli climatici devono essere inclusi anche i dati paleoclimatici. Per produrre dunque previsioni affidabili sul clima futuro della Terra, bisogna studiarne il passato.
I modelli climatici vengono infatti utilizzati per valutare gli impatti climatici delle emissioni di gas serra nell’atmosfera terrestre e predire quali ne saranno le future conseguenze per il clima del nostro Pianeta. Conoscere in anticipo quali saranno le conseguenze dell’aumento dei gas serra è infatti di fondamentale importanza per poter individuare delle strategie per il loro contenimento.
Secondo questo nuovo studio, affinché tali modelli numerici, utilizzati dai centri di ricerca di tutto il mondo, siano validi, devono includere anche i dati relativi alle simulazioni di climi passati.
Jessica Tierney, autrice principale dell’articolo e professoressa associata del Dipartimento di Geoscienze dell’Università dell’Arizona, esorta dunque “la comunità degli sviluppatori di modelli climatici a prestare attenzione al passato e a coinvolgerlo attivamente nella previsione del futuro. Se il tuo modello è in grado di simulare accuratamente i climi passati, probabilmente svolgerà un lavoro migliore nell’ottenere gli scenari futuri corretti. Guardare al passato per informare il futuro potrebbe aiutare a ridurre le incertezze che circondano le proiezioni di variazioni di temperatura, calotte glaciali e ciclo dell’acqua”.
Le indagini paleoclimatiche infatti, coprono una gamma molto più vasta di condizioni climatiche, che possono essere utili nel formulare modelli climatici migliori, rispetto a quelli realizzati utilizzando soltanto i dati storici, che in genere considerano solo uno o due secoli indietro. Studiando il clima del passato si acquisisce infatti una vasta gamma di temperature, schemi di precipitazione e distribuzione delle calotte glaciali.
Generalmente i modelli climatici sono valutati in base ai dati delle registrazioni meteorologiche storiche, come misurazioni satellitari, temperature della superficie del mare, velocità del vento, copertura nuvolosa e altri parametri simili. Gli algoritmi del modello vengono quindi modulati fino a quando le loro previsioni non si adattano ai dati climatici osservati.
Tierney ritiene che “molti modelli si comportano ottimamente con i climi storici, ma non altrettanto bene con i climi del passato geologico della Terra.” Uno dei motivi di queste discrepanze è rappresentato dalle differenze nel modo in cui i modelli calcolano gli effetti delle nuvole. Queste differenze fanno sì che modelli diversi divergano l’uno dall’altro in termini di ciò che gli scienziati del clima chiamano sensibilità al clima: una misura di quanto fortemente il clima della Terra risponde a un raddoppio delle emissioni di gas serra.
Nella loro ricerca, gli autori hanno applicato dei modelli climatici esistenti a diversi climi estremi del passato noti dalla documentazione geologica. Alcuni di questi modelli si sono rivelati migliori di altri nel produrre i climi che si sono poi successivamente verificati e che sono noti grazie alla documentazione geologica. In particolare, i climi caldi del passato come l’Eocene evidenziano il ruolo che le nuvole giocano nel contribuire a temperature più calde con livelli di anidride carbonica aumentati.
I conclusione dunque, Tierney ritiene opportuno che “la comunità climatica testi i modelli sui paleoclimi nella fase iniziale di sviluppo, piuttosto che in seguito, Come si è ora soliti fare.”
Foto di SEBASTIEN MARTY da Pixabay
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