Moctar Sacande, coordinatore internazionale del progetto contro la desertificazione della Divisione Politica e Risorse Forestali della FAO, ha presentato alla Fondazione Eni Enrico Mattei, i risultati della sua sperimentazione sulla possibilità di realizzazione del Great Green Wall, la grande barriera verde che fermerà l’avanzata del Sahara.
Si tratta di un progetto nato negli anni ’70, quando per la prima volta si iniziò a notare l’avanzamento della desertificazione nella regione, un tempo verde e fertile del Sahel, che attraversa il confine meridionale del Sahara. Questa terra lussureggiante che per generazioni aveva sostenuto le popolazioni, iniziò a trasformarsi in una regione arida, brulla e sterile. Questa devastante trasformazione è stata opera della combinazione tra il cambiamento climatico, l’aumento della popolazione e la cattiva gestione del territorio, non indirizzata in un ottica di sostenibilità.
L’impoverimento e l’inaridimento della regione del Sahel ha portato nel corso degli anni alla carenza di cibo e acqua per la popolazione, che sono sfociati in conflitti per l’accaparrarsi le risorse naturali. Inevitabilmente si è poi arrivati alla disoccupazione, la fame, la povertà che hanno costretto la popolazione alla migrazione forzata.
Per questo motivo alcuni leader politici si sono spinti oltre per cercare una soluzione definitiva al problema della desertificazione. Da qui nasce negli anni’80, l’idea di ritrasformare in paesaggi degradati in terreni fertili e verdi, creando il Great Green Wall (il Grande Muro Verde). Una striscia di terreni verdi che attraversa tutta l’Africa, dal Senegal al Gibuti, un ambizioso progetto che cambierà la vita di almeno 20 milioni di persone, in un territorio vastissimo dall’Oceano Atlantico fino al Mar Rosso. Solo nel 2007, grazie all’Unione Africana, i paesi delle zone interessate hanno iniziato a muovere i primi passi per la realizzazione del grande progetto. Da allora, gli undici paesi che inizialmente avevano aderito al progetto, sono diventati venti ed il progetto ha iniziato a percorrere la strada per il suo successo.
Il progetto rientra nell’ambito del programma di azione contro la desertificazione della FAO. L’esperto agronomo e ricercatore, Moctar Sacande, ritiene sia possibile fermare l’avanzata del deserto e restituire alla popolazione del Sahel terreni coltivabili, anche nelle zone più aride.
Alla Fondazione Eni Enrico Mattei, Sacande ha presentato i risultati dei suoi studi e delle sue ricerche sul campo, le quali hanno dato un riconoscimento scientifico al progetto e hanno dimostrato quanto questo sia realmente possibile.
Per Sacande è quindi giunto il tempo di dare il via al progetto del Great Green Wall. “Il degrado e l’impoverimento dei suoli non è irreversibile. Stiamo lavorando ad un progetto volto a recuperare i terreni degradati in una fascia di territorio di almeno 15 km di larghezza, che si estende per circa altri 8.000 km. Ora siamo a buon punto, abbiamo fatto enormi progressi e siamo pronti a fare il salto di qualità e realizzare davvero questo progetto, destinato a cambiare la vita di milioni di persone che vivono in una delle aree del Pianeta tra le più vulnerabili alla siccità, alle carestie ed alla povertà”.
Negli ultimi 5 anni, Sacande è andato di villaggio in villaggio nei paesi che fanno parte del progetto. Ha raccolto prove e sperimentazioni, ha insegnato alle comunità locali come gestire il territorio per poter recuperare i terreni agricoli strappandoli al Sahara. Per Moctor Sacande è infatti “molto importante parlare direttamente coi contadini, e far veder loro cosa possono ottenere da questo progetto. La loro collaborazione è indispensabile”.
In questi terreni, dove la popolazione lotta di continuo contro l’avanzare del Sahara, le Nazioni Unite e la FAO, assieme ai governi dei 20 paesi che hanno sottoscritto il progetto, hanno iniziato già dal 2002 a costruire le basi per questa impresa mastodontica. Si punta ora anche all’intervento dell’Unione Europea.
Il Great Green Wall infatti non consiste in un semplice rinverdimento dei territori, piantando alberi e piante in un territorio omogeneo, ma si tratta di un insieme di soluzioni e tecniche diverse, come diversi e vari sono i territori e le popolazioni che si trovano al confine con il Sahara. Si è puntato quindi ha ricercare delle soluzioni che fossero adattabili alle diverse comunità e ai diversi habitat.
Il filo conduttore del progetto rimane però sempre quello del coinvolgimento della popolazione, dei contadini e allevatori, che si occuperanno poi della gestione e del corretto sfruttamento dei territori recuperati.
Sono quindi le donne dei villaggi a recuperare e raccogliere dal terreno i semi delle piante tipiche della zona. Sono i contadini del luogo a far germogliare i semi e a trapiantarli nel terreno.
Per preparare i terreni alla semina, vengono realizzati dei canali in grado di trattenere per più tempo l’umidità della pochissima pioggia che cade in queste zone. Come ha affermato Sacande “con la realizzazione di queste trincee riusciamo a mantenere l’umidità nel suolo per oltre due mesi in più”.
Inoltre per ristabilire il ciclo dell’azoto, le sperimentazioni sul campo di Sacande, hanno dimostrato che è di valido aiuto la coltivazione di leguminose. Questo tipo di coltivazione conserva più a lungo l’umidità e consente la rigenerazione dei terreni.
Tutte queste tecniche di coltivazione, sono state sperimentate sul campo e monitorate. Nel corso dei 5 anni di sperimentazione, sono stati restituiti all’agricoltura circa 50 mila ettari di terreni. Il Great Green Wall inizia quindi a nascere, con 25 milioni di alberi piantati con l’impegno di 500 mila persone di 325 comunità diverse.
Il lavoro da fare è certo ancora mastodontico, con l’obiettivo di recuperare con queste metodologie altri 825 milioni di ettari di terreni, strappandoli alla morsa arida del Sahara. Ma per realizzare questo enorme progetto bisognerà trovare le risorse economiche necessarie. Secondo una stima saranno necessari dai 26 ai 60 miliardi di dollari in 11 anni, Delle cifre piuttosto alte per alcuni dei paesi più poveri al mondo.
Ma è anche vero che il recupero dei terreni e dell’agricoltura, l’arresto della desertificazione, porteranno notevoli vantaggi sia economici che ambientali alle popolazioni della fascia al confine col Sahara.
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