Dagli scavi realizzati a Mozia da un team dell’Università della Sapienza di Roma, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Siciliana, Soprintendenza di Trapani (nella persona del dott. Riccardo Guazzelli) e con la fondazione Whitaker, é emerso un importantissimo reperto di epoca fenicia. Si tratta di una stele con un iscrizione in fenicio, ritrovata all’interno di sepolture della stessa epoca. Importantissima è l’iscrizione sulla stele, che recita “servo di Melqart, figlio di…”, un titolo questo solitamente riservato ad un esponente della più alta aristocrazia cittadina, se non direttamente al suo re. La stele fenicia è stata ritrovata proprio durante l’ultimo giorno di scavi, come ha raccontato Lorenzo Nigro, direttore degli scavi.
Mozia (o Mothia o anche Motya) era un importante città fenicia situata sull’isola di San Pantaleo, un isola che si trova nello Stagnone di Marsala, tra la terraferma e l’Isola grande. Attualmente l’isola in cui sorgeva anticamente la città di Mozia appartiene alla fondazione Whitaker.
Lo storico siceliota Diodoro Siculo (90 a. C. – 27 a. C.) la descrive come “situata su un’isola che dista sei stadi dalla Sicilia ed era abbellita artisticamente in sommo grado con numerose belle case, grazie alla prosperità degli abitanti”.
Nel suo passato fenicio, fu inizialmente interessata dai passaggi di navigatori e mercanti fenici a partire dal XII secolo a. C., trasformandosi poi in un vero e proprio approdo, con una città portuale che fungeva da base commerciale per i fenici, proprio come lo era la città di Tiro.
Il suo antico nome fenicio era un po’ più complicato di quanto non appaia dalle fonti greche. Su diverse leggende monetali è riportato come nome della città Mtw o Hmtw, mentre in greco, come risulta dagli scritti sia di Diodoro Siculo che di Tucidide, il nome era Motye (Μοτύη).
Quando attorno alla metà del VII sec. a. C., i greci iniziarono la loro conquista e colonizzazione della Sicilia, fu proprio a Mozia, assieme a Palermo e Solunto (anch’esse di fondazione fenicia), che i Fenici si ritirarono per scappare dai greci in arrivo.
Da qui in avanti Mozia cambierà “padrone” diverse volte. Verrà conquistata da Cartagine e poi da Roma, quando quest’ultima prese il controllo della Sicilia. Ed insieme a poche fondamenta di edifici ellenistici e romani, di pregio e grande interesse sono i reperti di epoca fenicia trovati in quest’isola, come il “Giovane di Mozia”, scoperto nella precedente campagna della Sapienza, diretta da Antonia Ciasca; ed ora la “Stele del re di Mozia”, risultato di quest’ultima campagna di scavi.
In questa ultima missione dell’Università la Sapienza, diretta da Nigro e a cui hanno partecipato circa 50 studenti, sono stati scoperti i resti di una sepoltura. Nigro ha raccontato che i resti funebri si trovavano nascosti all’interno della torre difensiva numero 6 della prima cinta muraria della città, in una delle due camere cieche della torre.
Si tratta di una sepoltura databile appunto al periodo fenicio, precisamente attorno alla metà del VI sec a. C., in cui sono stati ritrovati frammenti di vasi, tra cui un aryballos corinzio, ed i resti umani di due persone, un adulto ed un bambino. Assieme ad essi è stata ritrovata anche la preziosa stele fenicia, un cippo funerario in calcarenite, alto circa 45 cm. Questo è solo il frammento superiore della stele rastremata che presenta ancora sulla sua sommità delle trecce di pittura rossa.
Su un lato della stele si trova l’iscrizione in fenicio che rende così importante il ritrovamento. Vi è infatti scritto “tomba del servo di Melqart’ figlio di…”. Melqart è infatti il dio protettore del re di Mozia, quindi il dio dinastico della città, equiparato dai Greci di Sicilia a Herakles. Il suo servo poteva quindi essere il re della città, o comunque un alto nobile.
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