Uno studio retrospettivo su pazienti anziani affetti da Covid-19, pubblicato sulla rivista Nutrients, ha concluso che la carenza di vitamina D nel siero è associata a sintomi polmonari più gravi, a una maggiore durata della malattia e a un maggior rischio di morte. La carenza di vitamina D è frequente nei pazienti che hanno contratto il virus SARS-CoV-2. Lo scopo di questo studio sulla vitamina D era correlare le concentrazioni sieriche di 25OH-Vitamina D con i parametri clinici di coinvolgimento polmonare, in pazienti anziani ricoverati per Covid-19.
Lo studio retrospettivo ha coinvolto sessantacinque pazienti colpiti da Covid-19 (età media 76 anni), confrontati con sessantacinque soggetti di controllo di pari sesso ed età. Gli scienziati hanno registrato i seguenti parametri clinici: tipo di coinvolgimento polmonare, parametri respiratori (PaO2, SO2, PaCO2, PaO2/FiO2), parametri di laboratorio (tra cui 25OH-vitamina D, D-dimero, proteina C-reattiva), durata del ricovero e durata dei sintomi tipici del virus.
I risultati hanno mostrato livelli di vitamina D nel siero significativamente più bassi nei pazienti affetti da Covid-19 rispetto ai pazienti di controllo (in media 7,9 contro 16,3 ng/mL, p = 0,001) e una correlazione positiva statisticamente significativa tra i livelli di vitamina D e PaO2 (p = 0,03), SO2 (p = 0,05), e PaO2/FiO2 (p = 0,02). Infine, gli scienziati hanno trovato livelli di vitamina D significativamente più bassi nel siero dei pazienti anziani affetti da Covid-19 deceduti durante il ricovero rispetto ai sopravvissuti (in media 3,0 contro 8,4 ng/mL, p = 0,046).
Secondo i ricercatori, questo studio conferma che la carenza di siero di 25OH-vitamina D è associata a un coinvolgimento polmonare più grave, a una maggiore durata della malattia e a un rischio di morte più elevato nei pazienti anziani colpiti dal virus. Tuttavia, questo studio presenta alcune limitazioni, tra cui l’esiguo numero di pazienti analizzati e la grande variabilità dei dati: per questo motivo i coefficienti di correlazione sono relativamente ristretti. Pertanto, sono necessari robusti studi clinici randomizzati che includano un numero maggiore di pazienti.
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