Nel mondo dell’archeologia si sono create due fazioni rivali: gli accademici, che effettuano scavi di ricerca in siti di loro scelta, e gli archeologi preventivi commerciali, che lavorano su scavi rapidi dove le imprese di costruzione hanno il permesso di operare. Questa settimana i gruppi si sono dati battaglia per conquistare Stonehenge e il suo paesaggio protetto dopo l’approvazione del progetto di un tunnel stradale di due miglia da parte di Grant Shapps, il segretario dei trasporti, nonostante i funzionari addetti alla pianificazione raccomandino di fermare il progetto perché causerebbe danni permanenti e irreversibili.
La battaglia fra fazioni rivali va avanti a colpi di carte bollate
Una coalizione di accademici e storici sta cercando una consulenza legale per verificare se sia possibile richiedere un controllo giurisdizionale. Avranno sei settimane di tempo per impugnare la decisione presso l’Alta Corte. Nel frattempo, un gruppo di 17 accademici ha scritto al Times chiedendo il raddoppio della lunghezza del tunnel, in modo da sgomberare il sito patrimonio dell’umanità ed evitare la distruzione stimata di mezzo milione di manufatti situati nella più densa concentrazione di tumuli neolitici di tutta la Gran Bretagna.
Prima di iniziare a scavare il tunnel, gli archeologi selezioneranno, scaveranno e catalogheranno alcune aree campione dei cantieri, ma gli oppositori sono contrari e sostengono che, in caso di costruzione del tunnel, occorrerebbe prima effettuare gli scavi nell’intero sito. Mike Pitts, un archeologo commerciale che fa parte del comitato scientifico dell’A303, creato dalla Highways England per fornire consulenza sugli aspetti archeologici del progetto, ritiene allarmistiche le affermazioni relative all’ipotetica distruzione di 500000 manufatti. L’archeologo aggiunge che, per quanto possa essere esatto prevedere la perdita di centinaia di migliaia di manufatti, non vi sono informazioni sufficienti a stabilirne l’età.
Il nodo del contendere: setacciare o no l’intero cantiere?
Il signor Pitts, che guida una delle due fazioni rivali, aggiunge che la stragrande maggioranza dei manufatti distrutti consisterebbe in pezzi di selce lavorata situati nello strato superiore del terreno, che possono indicare il punto in cui le persone si trovavano in quel determinato ambiente e il lasso di tempo in cui erano presenti. Lo studioso spiega che la presenza di persone in quel luogo è certa e che non sarebbe sorprendente scoprire che tale presenza risalisse già all’Età del Bronzo o della Pietra.
Dal canto suo Mike Parker Pearson, docente di Archeologia all’University College di Londra, esperto di Stonehenge e membro del comitato scientifico dell’A303, sostiene che il signor Pitts si sbagliava completamente sull’importanza dei manufatti in selce nel terreno e che essi rappresentavano il 90% di tutte le prove preistoriche esistenti nell’ambiente di Stonehenge. Lui e i suoi sostenitori, tra cui 7 dei 13 membri del comitato, affermano che, in caso di costruzione del tunnel, occorrerebbe setacciare e catalogare tutto il terreno dei cantieri per rilevare e classificare i manufatti.
Il professor Pearson, a sostegno della sua tesi, chiarisce che il team ha scoperto che, su 100 selci, solo due sono diagnostiche: una punta di freccia e uno strumento usato per pulire le pelli, e se si setaccia solo il 10 per cento del terreno non si troverà abbastanza materiale diagnostico per poter indicare la data e le attività da cui derivano gli strumenti. Pitts, a sua volta, definisce ridicola a richiesta di setacciare l’intera area poiché, a suo parere, richiederebbe troppo tempo e comporterebbe costi troppo elevati per essere fattibile.
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