Le epatiti virali sono una speciale classe di malattie infettive che colpiscono principalmente il fegato. Si dividono in due tipi, quelli a trasmissione oro-fecale, ovvero epatite A ed E, e quelle a trasmissione parentale, tramite il sangue, ovvero epatite B, Delta e C. Quando l’agente entra nell’ospite, possono instaurarsi due particolari situazioni, un’epatite acuta, che dura sei mesi, dove o vince l’ospite o vince l’agente, o un’epatite cronica, di minore intensità ma che permane nell’organismo a volte anche a vita. La principale epatite che provoca una condizione cronica è l’epatite C, anche se sembra che alcune persone siano predisposte meglio geneticamente a combatterla.
Questa malattia infettiva è molto diffusa in tutto il mondo, si passa dalla bassissima percentuale in Scandinavia a quasi il 50% in Africa. Non esistono vaccini in quanto ha un alto grado di variabilità strutturale, eludendo così la risposta immune nell’ospite. Il 10% dei casi può evolvere in forma acuta, mentre ben il 70% in forma cronica, con un rischio dopo 20-35 anni dall’infezione di epatocarciroma.
Un gruppo di ricercatori dell’università di Glasgow recentemente ha analizzato in laboratorio l’agire della malattia, scoprendo una novità molto interessante. Quando i batteri attaccano le cellule nel fegato, attivano casualmente degli interferoni, molecole antivirali che difendono l’organismo. Gli interferoni lambda hanno un buon dato di efficacia. C’è un particolare interferone però, chiamato IFNL4, che, oltre ad avere una bassa risposta difensiva, favorisce lo sviluppo del virus. Negli studi di ricerca, si è scoperto che esiste una rarissima versione di questo IFNL4, che è molto più efficiente a debellare il virus, e si trova solo nei Pigmei, un gruppo di cacciatori nomadi dell’Africa centrale. Tutte le altre popolazioni umane, per qualche ragione ancora non nota, presentano varianti meno protettive del gene. Il gene inoltre, è molto simile a quello presente nei scimpanzè ma le autorità vietano di condurre esperimenti su questa categoria di animali a rischio estinzione.
E’ comunque un bel passo avanti per il futuro, per trovare metodi sempre più efficaci per combattere questa fastidiosa e pericolosa malattia infettiva.
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