Perché alcune persone non riescono a staccarsi dai social media, mentre altre li trovano noiosi o invadenti? Le differenze non dipendono solo da fattori ambientali o educativi: sempre più studi indicano che la genetica potrebbe giocare un ruolo importante nel modo in cui interagiamo online. I geni, insomma, non influenzano solo il colore degli occhi o la predisposizione alle malattie, ma anche la nostra “vita digitale”.
L’ipotesi: il comportamento online come tratto ereditario
Da tempo gli scienziati sanno che tratti come l’estroversione, l’impulsività o la ricerca di gratificazione sono in parte genetici. Poiché questi aspetti della personalità influenzano anche l’uso dei social media, è naturale chiedersi se esista una “base genetica” diretta per il comportamento digitale. Alcuni ricercatori ipotizzano che certi geni, coinvolti nei meccanismi di ricompensa del cervello, possano renderci più sensibili ai feedback online come i “mi piace” o i commenti.
Gli studi gemellari: il DNA dietro il like
Uno degli strumenti più utilizzati per indagare il peso della genetica è lo studio dei gemelli. Un’analisi condotta su oltre 8000 gemelli britannici dall’Università di Oxford ha mostrato che circa il 40% della variabilità nell’uso dei social media potrebbe essere spiegata da fattori genetici. In altre parole, il modo in cui ci comportiamo online non dipende solo dall’ambiente o dalle abitudini, ma anche dall’impronta biologica che ereditiamo.
Dopamina e ricompensa: il circuito che ci lega ai social
Un elemento chiave sembra essere il sistema dopaminergico, il circuito cerebrale che regola la sensazione di piacere e gratificazione. Le notifiche, i “like” e i nuovi follower stimolano il rilascio di dopamina, lo stesso neurotrasmettitore coinvolto nel gioco d’azzardo o nel consumo di zuccheri. Alcune varianti genetiche, come quelle che influenzano il recettore DRD2, possono rendere certe persone più sensibili a questi stimoli, aumentando la probabilità di sviluppare un uso compulsivo dei social.
Personalità, genetica e ambiente: un intreccio complesso
Naturalmente, il DNA non agisce in modo isolato. La genetica fornisce solo una predisposizione: l’ambiente, l’educazione e le esperienze personali determinano se e come essa si manifesta. Una persona geneticamente predisposta a cercare stimoli sociali potrebbe limitare il proprio uso dei social se cresce in un contesto equilibrato, mentre un ambiente stressante o competitivo può amplificare tali comportamenti. È un dialogo continuo tra geni e ambiente, non una condanna biologica.
Le implicazioni etiche: privacy genetica e responsabilità digitale
Queste scoperte sollevano anche interrogativi etici. Se la genetica influisce sul comportamento online, chi ne è responsabile? E cosa succederebbe se aziende tecnologiche o piattaforme social potessero sfruttare dati genetici per personalizzare i contenuti? Il confine tra comprensione scientifica e manipolazione commerciale è sottile, e la tutela della privacy genetica diventa un tema cruciale nel futuro della società digitale.
Verso una “neuroetica digitale”
Comprendere come il cervello e il DNA influenzano la nostra vita online può aiutare a sviluppare strategie di uso più consapevole dei social media. Psicologi e neuroscienziati propongono di integrare l’educazione digitale con la conoscenza dei meccanismi biologici di ricompensa, per insegnare agli utenti — soprattutto ai più giovani — a riconoscere i segnali di dipendenza e gestire il tempo online in modo più equilibrato.
Conclusione: il futuro dell’identità digitale
La genetica dei social è un campo ancora giovane, ma promettente. Non significa che siamo “programmati” per scorrere all’infinito un feed, ma che alcuni tratti ereditari possono rendere certe persone più vulnerabili alle dinamiche digitali. In definitiva, conoscere il ruolo del DNA nel comportamento online non serve a giustificare le nostre abitudini, bensì a comprenderle — e a costruire una relazione più sana, consapevole e umana con la tecnologia.
Foto di Erik Lucatero da Pixabay

