Negli ultimi decenni sono stati fatti numerosi sforzi per ridurre le emissioni di quelle sostanze che sono in grado di distruggere lo strato di ozono della nostra atmosfera. L’uso indiscriminato dei suddetti ha portato alla creazione di alcuni buchi sparsi, ma il più famoso è quello enorme sopra il Polo Sud. Gli sforzi sono stati fruttuosi, ma ultimamente è stato registrato un aumento nell’uso di questi gas.
Si parla dei clorofluorocarburi, o abbreviato CFC, e sono cinque. Purtroppo sono alla base di molti prodotti di uso comune e per cercare di ridurne le emissioni pericolose, l’uso ne è stato fortemente normato. Trovano applicazione nei sistemi di congelamento e di raffreddamento, come l’aria condizionata, ma sono anche fondamentali per alcuni solventi chimici.
Durante gli ultimi sono stati registrati più volte dei picchi di questi gas, ma sono sempre stati limitati e con un impatto praticamente nullo sullo strato di ozono. Oltre alle restrizioni d’uso, ci sono autorità internazionali dedicate al monitoraggio globale delle emissioni. Ci si concentra su emissioni lontane dai siti di produzione noti e controllati e di recente sono stati trovati diverse zone sospette.
Al momento questo aumento delle emissioni risultano a essere entro un range non eccessivamente pericoloso per lo strato di ozono, ma con misure sempre meno stringenti si può andare incontro a un effetto domino. Un altro motivo per ignorare le emissioni di CFC è poi legato al fatto che sono gas serra e che quindi, seppur in minima parte, contribuiscono all’esasperazione del cambiamento climatico.
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