Diversi astronauti hanno lamentato problemi alla vista durante le missioni e la NASA sta studiando con attenzione questa questione. Pare che l’origine dei problemi alla vista siano da associare a cambiamenti nel cervello verificatisi durante le loro missioni nello spazio.
Un nuovo studio del New England Journal of Medicine ha identificato cambiamenti nelle aree superiori del cervello piene di liquido cerebrospinale e nei ventricoli al centro del cervello. Alcuni astronauti hanno subito una rottura nel liquido cerebrospinale.
Su 18 astronauti che hanno volato nello spazio per almeno tre mesi, 17 hanno subito un restringimento del solco o scanalatura centrale del cervello, ma anche astronauti che hanno volato per periodi più brevi hanno sperimentato cambiamenti (il 19% su un campione di 16 persone).
Dopo lunghi voli, su un campione di 12 astronauti, è stato osservato uno spostamento del cervello verso l’alto ed un restringimento degli spazi pieni di liquido cerebrospinale.
Su un campione di 6 astronauti che hanno eseguito voli di breve durata, nessuno di loro ha sperimentato lo spostamento in alto del cervello e soltanto uno è stato sottoposto a risonanza magnetica.
Questi risultati evidenziano la necessità di eseguire maggiori test di risonanza magnetica sugli astronauti, dopo un volo: test da ripetere nei mesi e negli anni, non soltanto subito prima o dopo una missione. E’ quanto afferma la principale ricercatrice di questo studio, Donna Roberts, medico e professore associato all’Università di Medicina della Carolina del Sud.
Donna Roberts spiega che, fin dai primi voli spaziali dell’uomo, la NASA ha dedicato molto tempo nello studio di ciò che accade ai muscoli, alle ossa ed al cuore degli astronauti, ma soltanto di recente si interessa agli effetti sul cervello”.
La NASA ha iniziato ad interessarsi di questi effetti quando si sono manifestati i primi problemi visivi degli astronauti. Alcuni di loro hanno cominciato a lamentare problemi alla vista come il canadese Bob Thirsk e tutti gli altri che hanno riscontrato lo stesso problema.
Sono state sollevate diverse ipotesi al riguardo: nutrizione, livelli elevati di anidride carbonica all’interno della stazione spaziale ed una maggiore pressione intercranica provocata da un dispositivo avanzato usato dagli astronauti per rimanere in forma.
Lo studio di Roberts mostra che il solco centrale del cervello – una scanalatura vicino alla cima del cervello che separa i lobi parietali da quelli frontali – può restringersi duranti i voli nello spazio (inclusi, ma più raramente, quelli di breve durata) come pure in pazienti che conducono una vita sana, volontari utilizzati per controllare i suoi studi.
Gli astronauti che eseguono voli nello spazio a lungo termine possono subire uno spostamento del cervello verso l’alto (in prossimità del cranio) e mostrare spazi stretti nel ventricolo pieno di liquido cerebrospinale nel cervello.
“Uno dei maggiori problemi, secondo il mio punto di vista, è che nel tempo i ventricoli si ingrandiscono; più tempo gli astronauti restano nello spazio, più grandi risultano i ventricoli” ha ammesso Donna Roberts.
Non eseguendo risonanze magnetiche di frequente, il medico non può sapere se il problema del ventricolo è temporaneo o permanente.
Un altro dei problemi che, di solito, ostacolano le indagini sugli astronauti riguarda i piccoli campioni su cui studiare visto che le persone volare nello spazio sono una minoranza.
Una condizione patologica chiamata ipertensione intracranica idiopatica presenta disturbi simili a quelli riscontrati negli astronauti: visione sfocata ed alta pressione intracranica. Tra i normali pazienti, si può dire che le più colpite sono giovani donne in sovrappeso e non sono ancora note le cause. Disturbi simili vengono riscontrati, generalmente, in astronauti maschi, di mezza età ed in ottima forma.
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L’ipertensione intracranica idiopatica viene trattata drenando il fluido con un ago posizionato sul dorso inferiore e questo trattamento non è stato ancora previsto per gli astronauti.
Probabilmente, secondo Roberts, si dovrebbe indagare su questi trattamenti per svilupparne di nuovi come terapia per i cambiamenti cerebrali riscontrati negli astronauti
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