The Bridge Curse: Road to salvation è l’adattamento videoludico dell’omonimo film, pubblicato nel corso del 2020, si tratta a tutti gli effetti di un horror in prima persona, nel corso del quale l’utente si ritroverà costretto a fuggire da spiriti ed eventi paranormali. Vediamolo da vicino con la nostra recensione completa.
Il costrutto narrativo si affida quasi interamente alla pellicola cinematografica, l’intera esperienza è ambientata presso l’Università di Tunghu, a Taiwan, location perfetta per 6 incauti studenti intenti a eseguire un vecchio rituale, con il solo scopo di filmarlo interamente, per poi condividerlo sui social network. Peccato che le loro azioni non siano solamente “scena”, ma portino al risveglio del fantasma di una giovane donna, pronta ad inseguirli per tutti i capitoli che compongono l’esperienza.
Interessante la storia, anche se molto derivativa, ma ancora di più il modo in cui viene raccontata; a tutti gli effetti sarà possibile comprenderla pienamente solo mediante la raccolta di vari collezionabili sparsi per le location, oltre che con gli occhi dei vari protagonisti. Attraversando i vari capitoli, infatti, si affronterà lo stesso con un personaggio completamente differente; metodologia non inusuale, comunque apprezzata che spicca in variabilità.
La nostra prova l’abbiamo completata su Xbox Series X, non si tratta di un titolo next-gen o di un tripla A, riuscendo ugualmente ad impressionare con un frame rate sufficientemente solido e caricamenti fulminei. Le texture vengono caricate senza ritardi, la conta poligonale è sufficiente, come anche la definizione delle singole ambientazioni; nel corso dell’avventura si attraversa praticamente tutto il campus universitario, dalle classi, passando per i dormitori e simili, ciò permette di godere di una buona variabilità delle scene, anche se in alcune occasioni sono leggermente povere di contenuti.
Gli effetti di luce, come i riflessi sulle superfici, sono ben realizzati, con personaggi adeguati all’esperienza e fantasmi che riescono davvero ad incutere timore nell’utente finale. Il gioco è doppiato completamente in lingua inglese, il comparto audio è di tutto rispetto, con brani e effetti sonori che permettono all’utente finale di immergersi completamente nell’esperienza (consigliamo di giocarlo con le cuffie).
The Bridge Curse: Road to salvation nasce come survival horror, in perfetto stile Outlast, ecco quindi che nel corso delle nostre scorribande nel campus non dovremo fare altro che fuggire e nascondersi dai fantasmi (aprendo gli armadi, sotto i tavoli o simili), senza possibilità di offendere. Ciò permette di mantenere sempre elevata la tensione, condita con tantissimi jumpscare (forse troppi), lasciando nel giocatore quel senso di ansia caratteristico dei titoli dello stesso tipo, se catturati, al contrario, bisognerà ripartire dall’ultimo salvataggio.
Le mappe non sono particolarmente grandi, né troppo dispersive, proprio per questo gli sviluppatori non hanno inserito un sistema di guida, per raggiungere la destinazione finale è necessario seguire i vari cartelli o le indicazioni ambientali; è presente anche lo smartphone, che potrebbe tornare utile in tal senso, ma risulta essere più che altro un mero inventario, più che un aiuto nella navigazione.
Per spezzare l’ansia e la paura, nel gioco sono stati posizionati innumerevoli enigmi ambientali, dal discreto livello di difficoltà, anche se mai ci siamo bloccati senza riuscire a risolverli. Una scelta che condividiamo appieno, proprio perché in caso contrario l’esperienza sarebbe stata troppo monotona, e la tensione quasi insostenibile.
In conclusione The Bridge Curse: Road to salvation è un survival horror che prende a piene mani dai classici del genere, senza essere in grado di innovare o di portare un’esperienza anche un briciolo differente. Consapevoli del fatto che si tratta di un indie, non possiamo che essere soddisfatti del livello raggiunto, capace di confermarsi su standard abbastanza elevati, grazie alla buona realizzazione grafica ed il livello di tensione sempre costante.
Dall’altro lato della medaglia troviamo due aspetti: la longevità ridotta, infatti si termina anche in meno di 5 ore, e la rigiocabilità assente, una volta terminato non ha più senso pensare di rivivere l’esperienza.
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