Facebook rappresenta, ad oggi, il fondamentale canale online mondiale di comunicazione, condivisione ed interazione a distanza. Negli anni, da puro e semplice portale di social networking, si è trasformato in una piattaforma funzionale, completa e sempre pronta ad abbraccia un cambiamento evolutivo che vede una manifestazione di interesse esterna agli ambienti social e vicina al naturale trend evolutivo del momento.
Tra soluzioni di condivisione e trasmissione video Live, test per l’inclusione di un sistema di consultazione Premium dei contenuti editoriali digitali e piattaforme per la ricerca attiva del lavoro, Facebook sta letteralmente impazzando in Italia così come nel resto del mondo.
Di fatto, secondo i dati recentemente portati alla nostra attenzione dagli istituti di statistica e ricerca di mercato, il tempo di permanenza su Facebook sarebbe raddoppiato quest’anno rispetto al corrispondente periodo precedente, ed in misura ancora più marcata dal suo esordio nel panorama online delle piattaforme digitali di comunicazione a distanza.
Un sistema che se da un lato avvicina gli utenti riducendo il gap creato dalla distanza fisica dall’altro muove una serie di interrogativi importanti che fanno capo alle dichiarazioni non troppo rassicuranti di illustre personalità. Personalità del calibro di Sean Parker, creatore di Napster ed ex presidente della compagnia capeggiata da Mark Zuckerberg.Nel corso di un evento tenutosi presso il National Constitution Center di Philadelphia, Parker è intervenuto in veste di obiettore di coscienza del social media, affermando che:
“Quando Facebook stava crescendo, c’erano persone che incontravo e mi dicevano che non erano sui social. Rispondevo loro ‘OK. Lo sai, ci sarai. E poi loro dicevano ‘No, no, no. Do valore alle interazioni reali, al momento, alla presenza e all’intimità’. E io dicevo ‘alla fine ci sarai'”
Al momento, secondo quanto conferito dall’ex Presidente, egli stesso non aveva ben compreso le conseguenze di una simile affermazione ed il fatto che da li ad un paio di anni il fenomeno Facebook si sarebbe portato al coinvolgimento di miliardi e miliardi di persone.
In corso di Conferenza Stampa, e col senno di poi, Parker ha destato non poche preoccupazioni in merito alle conseguenze derivanti da un uso smodato ed improprio dei servizi social, i quali si portano ad interferire con la produttività. In particolare, è stato detto senza mezzi termini che: “Dio solo sa cosa sta facendo ai cervelli dei nostri figli”.
L’uso della piattaforma, in particolare e secondo quanto prospettato dal dichiarante, porterebbe ad una sorta di violenza psicologica basata sulla vulnerabilità della mente umana e sulla necessità di ottemperare ad una sorta di soddisfazione personale che dal contesto reale trasla in maniera diretta in quello virtuale del social network, dove i Mi Piace ed i Commenti portano ad un crescendo di pubblicazioni e condivisioni di stato.
Nello specifico, è stato anche detto che Parker, Zuckerberg, Systrom e gli altri addetti ai lavori coinvolti nel progetto hanno compreso il potenziale negativo scaturito dall’uso di detti sistemi, in maniera del tutto coscienziosa e volontaria. Ammissioni di un ex Presidente che suonano come una sorta di Mea Culpa che non è certamente nuova nel contesto dei sistemi informatici di comunicazione. Tra i tanti esempi disponibili vi è quello relativo ad Ethan Zuckerman, reduce dalle manifestate scuse per la realizzazione dei circuiti pop-up.
Ad ogni modo, le dichiarazioni di Parker non suonano come una vera e propria novità ma piuttosto come la conferma di qualcosa lampante e ben visibile ai nostri occhi. Ogni giorno, di fatto, siamo portati alla pubblicazione, spesso compulsiva, di contenuti online ed alla consultazione frenetica di offerte promozionali e pubblicità ad hoc proposte tramite la piattaforma.
Facebook inganna e manipola la nostra mente, portandoci ad una condizione di dipendenza psicologica dai servizi correlati e ad una partecipazione forzosa. Le voci riferiscono del fatto che gli ideatori della piattaforma dispongano di dossier completi per ciascun utente, classificati secondo be 52.000 categorie.
Un fenomeno che coinvolge tanto gli adulti che i più giovani. In tal caso, specialmente per i più piccoli e per gli adolescenti, sarebbe utile disfarsi del proprio account e vivere finalmente la vita vera, fatta di veri confronti diretti e di un’interazione che esula dalla logica digitale cui siamo sempre più inclini. Non è troppo tardi per dare vita al cambiamento. Oppure no?