Foto di Josh Withers su Unsplash
Per anni si è puntato il dito contro il tempo passato davanti agli schermi, considerato responsabile di un aumento del disagio mentale tra gli adolescenti. Ma una nuova ondata di studi psicologici suggerisce una visione più sfumata e sorprendente: non è il tempo trascorso online a essere dannoso, bensì il modo in cui viene vissuto l’uso dei dispositivi digitali. In particolare, un uso compulsivo e disfunzionale degli schermi è correlato a un rischio più elevato di pensieri suicidari e comportamenti autolesionisti nei giovani.
La distinzione è cruciale. Secondo una ricerca pubblicata su Nature Mental Health, condotta su un ampio campione di adolescenti statunitensi, coloro che utilizzano smartphone e social media in modo impulsivo, con difficoltà a staccarsene o a farne a meno, mostrano livelli significativamente più alti di ansia, depressione e ideazione suicidaria rispetto ai coetanei che passano lo stesso tempo online ma con un uso più controllato e consapevole.
Il meccanismo alla base di questo legame riguarda l’effetto che gli schermi hanno sul sistema dopaminergico del cervello in sviluppo. L’uso compulsivo stimola un ciclo di gratificazione immediata e di iperconnessione che rende difficile la regolazione emotiva e aumenta la vulnerabilità psicologica, soprattutto nei ragazzi che già vivono situazioni di fragilità, come isolamento sociale, bassa autostima o bullismo.
I social media, in particolare, sono spesso progettati per generare “dipendenza” attraverso notifiche continue, scorrimento infinito e like. Per alcuni adolescenti, questi strumenti diventano vere e proprie vie di fuga dalla realtà, ma allo stesso tempo alimentano il confronto costante, la paura di essere esclusi (FOMO) e una percezione distorta di sé. Questo può portare a una spirale negativa difficile da interrompere.
Tuttavia, non tutti gli adolescenti sono colpiti allo stesso modo. La qualità del contenuto fruito, il contesto familiare e le capacità individuali di autoregolazione giocano un ruolo fondamentale. Per questo motivo, gli esperti raccomandano di non demonizzare la tecnologia in sé, ma di educare i ragazzi a un uso critico, equilibrato e consapevole dei media digitali.
Le famiglie possono intervenire stabilendo regole condivise, promuovendo momenti offline, osservando i segnali di disagio e mantenendo un dialogo aperto e non giudicante. Anche la scuola può avere un ruolo attivo, introducendo programmi di alfabetizzazione digitale ed emotiva per aiutare gli studenti a riconoscere i propri limiti e bisogni.
Inoltre, la ricerca suggerisce che ridurre l’uso passivo degli schermi (come lo scroll infinito) e aumentare le interazioni attive e significative (chat, creazione di contenuti, condivisione autentica) può diminuire il rischio di effetti negativi. La chiave è spostare l’attenzione dal “quanto” al “come” e al “perché”.
In un mondo sempre più digitale, è essenziale non cadere in facili allarmismi, ma comprendere le sfumature dell’esperienza adolescenziale online. L’obiettivo non è togliere la tecnologia, ma renderla un alleato nella costruzione di benessere, identità e relazioni sane, affinché nessun ragazzo si senta solo dietro uno schermo.
Foto di Josh Withers su Unsplash
Il WD Black SN8100 si pone come uno degli SSD NVMe più avanzati disponibili sul mercato consumer, grazie al supporto…
Vent’anni dopo la morte della madre e della nonna a causa del cancro al seno, l’ingegnere Leslie Holton ha trasformato…
Una scoperta rivoluzionaria in ambito neuroscientifico riaccende la speranza per milioni di persone affette da lesioni del midollo spinale. Un…
Vi è arrivata una strana e-mail in cui vi viene comunicato che il vostro abbonamento antivirus è scaduto e che…
Le sigarette elettroniche aromatizzate sono spesso considerate un’alternativa più sicura al fumo tradizionale, soprattutto quando non contengono nicotina. Ma uno…
Una nuova frontiera della medicina predittiva arriva dal Portogallo: un team di ricercatori della NOVA Information Management School (NOVA IMS)…