Non esattamente troppi giorni fa dei ricercatori avevano scoperto un enorme cratere al di sotto dei ghiacci dell’Antartide. Il buco è un cattivo presagio non solo perché di fatto sta rendendo tutta la zona instabile, ma anche perché indica che ci sono zone del continente che sta soffrendo l’aumento della temperatura nascoste ai nostri occhi e che quindi fanno risultare le varie previsioni sbagliate. In ogni caso, come se il primo non fosse abbastanza la NASA ne ha individuato un altro anche se in realtà è di un’altra natura.
Quest’ultimo si estende per ben 36,5 chilometri, ma a questo la giro non sembra che ci sia da disperare in quanto si tratta del residuo d’impatto di un meteorite e non dello scioglimento del ghiaccio. Lo studio che è stato fatto in merito fa risalire l’impatto a circa 2,6 milioni di anni fa e se venisse confermato ufficialmente come quello che viene suggerito al momento allora si tratta del 22° più grande punto d’impatto presente sul nostro pianeta.
Per quanto la Terra si un minuscolo puntino all’interno dello spazio, anche solo del nostro Sistema Solare, spesso abbiamo avuto a che fare con asteroide. I crateri conosciuti sono oltre 200, ma questo è solo il secondo che viene trovato nel continente ghiacciato. Anche il primo è stato scoperto solamente pochi mesi fa ovvero a novembre del 2018 e a questo punto potremo aspettarci altre scoperte nei mesi a seguire.
Una delle ipotesi che gli autori dello studio stanno portando avanti è che i due crateri sono i risultati di un unico evento. Quest’idea si basa sul fatto che distano tra loro di soli 183 chilometri. Insomma si tratta di un cratere gemello nato quando la roccia spaziale è entrata nell’atmosfera dividendosi in due per via delle forze del caso.
Ecco una dichiarazione del team responsabile della scoperta: “La possibilità di ulteriori crateri subglaciali sotto le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide dovrebbe essere studiata, in quanto la nostra scoperta sottolinea ulteriormente la capacità delle calotte glaciali di seppellire e preservare le prove degli impatti terrestri.”
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